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Non è necessario conoscerne le storie per capire che Salvatore Adduce e Emilio Nicola Buccico, vale a dire l’attuale e il penultimo sindaco (se si esclude la parentesi commissariale) di Matera, non hanno nulla in comune.

Il primo, ferrandinese, è un politico, come si diceva una volta,  professionale  formatosi alla scuola del Pci, di cui ha vissuto tutte le reincarnazioni: fino all’inquieto Pd di oggi. L’altro, materano di nascita, cresce politicamente al seguito di un eretico del Msi come Pinuccio Tatarella prima di approdare al Pdl, partito dal quale finirà con l’allontanarsi per  assecondare le sue vere passioni, vale a dire la professione forense e la ricerca storica.

Due uomini così non sono fatti per intendersi. E lo dimostra l’ultima polemica che ha per oggetto, come registriamo in queste pagine, la strategia che sottende la candidatura di Matera a capitale europea della cultura nel 2019.

Riassumendo molto, Buccico pone tre problemi. Il primo riguarda il mancato confronto con la città e con i suoi intellettuali (anche quelli “emigrati”) nella elaborazione del dossier per la candidatura. Il secondo sta nel fatto di aver affidato a quello che lui considera un burocrate del Nord la guida organizzativa e intellettuale di tale strategia.

Il terzo, e più delicato, investe le ragioni stesse della candidatura: che dovrebbero qualificare in senso storico (e religioso) Matera, e metterne in luce la sua universalità.

A questi interrogativi Adduce risponde nel solo modo che sa e che gli è consentito: da politico e da uomo delle istituzioni (“per la prima volta – osserva – un programma siffatto trova la condivisione unitaria degli enti”). Il confronto? C’è stato, come no: “Abbiamo incontrato centinaia di persone. Anzi, abbiamo sperimentato un nuovo modello di partecipazione”. Gli intellettuali? “E’ grazie a loro, grazie ai preziosi contributi di persone come Raffaello De Ruggieri, Antonio Calbi, Lorenzo Rota, Amerigo Restucci, con cui intratteniamo costanti rapporti, che si è potuto realizzare il piano strategico…  si veda l’ultima di copertina del dossier che contiene i primi 1000 nomi interpellati”. E quanto a  Paolo Verri, “manager culturale con una grande esperienza nei progetti di candidatura (Piano strategico di Torino, Olimpiadi invernali di Torino, Italia 150, Expo 2015), … abbiamo scelto il merito, il curriculum, l’esperienza, partendo anche da qui per rovesciare i paradigmi che strozzano il nostro Paese, e, in particolare, il Sud”.

D’altra parte, fa presente Adduce quasi irridendo le sofisticate argomentazioni di Buccico, la Commissione europea se ne impipa “di sapere chi siamo stati o chi siamo oggi”, ma ci chiede di rispondere succintamente a 40 domande “che riguardano il lavoro che vogliamo intraprendere per avvicinare Matera all’Europa…”. Come dire che, gira e rigira, la questione,  spiega il sindaco, si riduce a convincere politicamente Bruxelles che la città è in grado di proporre “un nuovo modello urbano, per attrarre visitatori (e non semplicemente turisti) che eleggano la nostra città a luogo in cui sperimentare nuove pratiche, in cui immaginare nuovi orizzonti, in cui produrre cultura, innovazione, economia”. Fine del dialogo.

Messa così, si capisce che tra i due non ci può essere partita. E non perché l’uno abbia ragione e l’altro torto. Ma perché, dovendo sottostare a un superiore interesse di natura politica, a venir meno è la possibilità stessa di parlare una lingua comune, pur nella diversità delle posizioni.

E così Adduce e Buccico finiscono per rappresentare, nel microcosmo materano, la metafora deprimente dello stato attuale del Paese e  della sua incapacità, anche politica, di comunicare evadendo dagli schemi soffocanti del politicamente utile (e corretto).

a.grassi@luedi.it

 

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