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Gentile Direttore, non voterei mai per Marcello Pittella. Per ragioni di forma e di sostanza. Che, però, nell’attuale panorama politico, pare abbiano pari valore. Mi permetta, quindi, di sgranare, come in un rosario, le ragioni per le quali nemmeno l’ombra di un mio neurone potrebbe affacciarsi sulla figura del gladiatore.Inizio dalla forma. Con una premessa, però.
La mia non vuole essere una critica estetica. So che ‘Marcello’ ha un nutrito fan club. E allora, iniziamo. Il pizzetto. Tornato di gran moda agli inizi degli anni ’90, ha subito diverse evoluzioni fino ad arrivare a fantasiose e pericolose decolorazioni. Poi è legittimamente morto. Ma Pittella non pare essersene accorto. La voce. Quel fastidioso timbro nasale non fa che rimarcare una inflessione dialettale già pesantemente influenzata da un italiano piuttosto precario e frusto. Nessuna traccia di modernità, dunque, nè nel viso, nè nella voce. Il cognome. Chi è cresciuto con l’ideale altissimo dell’auto-conservazione, coltivando data-base dove gli elettori venivano catalogati come fossero dei clienti, non può aprirsi ad alcun tipo di rinnovamento.
Questo, a mio modesto parere, è un dogma. Non si cambia la natura, è operazione mai riuscita a nessuno. Né è mai successo, in nessuna favola, che uno si svegli a 50 anni e si scopra innovatore all’improvviso. Ehi piacere, fino a ieri ho sguazzato nella conservazione, ma da domani metto il pizzetto da innovatore. Spiacente, non funziona così. E dunque, già la carta d’identità del gladiatore è sufficiente a posizionarlo in un’arena, appunto. Non al governo di una regione. Ma vorrei anche introdurre questioni di sostanza. E motivare le ragioni per cui non voterei nemmeno il PD di Pittella. Questo ‘nuovo’ partito nasce sulle basi di una rinnovata unità. Si ripete, cioè, la solita filastrocca: ci sono tante teste pensanti, la cosiddetta (e margiottiana) pluralità di leadership che tanto bene fa al partito. Come a dire: un partito democratico ha bisogno di scornarsi, di farsi la guerra perchè poi arriva la sintesi. E questa sintesi farà il bene della comunità. Io credo sia ora di dire che questa è una enorme sciocchezza. Gli scontri che si registrano nel partito non hanno avuto e non hanno nulla, ma proprio nulla a che fare con i brainstorming in cui, alla fine, si generano idee. E non hanno nulla a che fare nemmeno con la pluralità di idee. Gli scontri che si registrano nel partito nascono e muoiono sotto un unico comune denominatore: l’auto conservazione. Il partito discute e si blocca perchè deve accontentare De Filippo.
Il partito discute e si blocca perchè deve lanciare le primarie, ma poi deve trovare il candidato unico. Il partito discute e si blocca perchè Braia è sì fuori dalle liste, ma potrà fare l’assessore. Il partito parla di rinnovamento perchè vuole liste ‘pulite’. Ma di un partito che chieda liste ‘competenti’ nemmeno l’ombra. E allora, in ragione di questo grande spot chiamato ‘innovazione e cambiamento’, si aprono le liste ad autentici fuoriclasse delle competenze: mi riferisco, ad esempio, e solo per citarne un paio, al sindaco di Potenza o al segretario provinciale del PD. Pur sforzandomi, non riesco a subodorare alcuna traccia di competenza. Qualcuno sa dirmi di quali azioni efficaci si siano resi protagonisti questi due fuoriclasse? Di quali idee si sono fatti portatori? Perché, a mio avviso, oggi si hanno solo 2 possibilità: o si candidano facce nuove con un curriculum (e possibilmente un lavoro) alle spalle oppure si premiano facce vecchie che hanno fatto bene in passato. Non ho capito bene: queste facce sono nuove con curriculum o vecchie ma competenti? In questo contesto, in cui si trattano ancora le candidature come scatti dovuti di carriera, è nata la candidatura di Marcello Pittella. Candidatura che ha trovato terreno fertile nello stesso giardino di casa, dove il fratello Gianni aveva già piantumato invettive surreali contro l’apparato del PD. Su quel terreno si è radicata la campagna per le primarie del nostro gladiatore. Ma, diciamo la verità. Quel terreno non è a marchio PD. Quel terreno è terreno comune in cui possono passeggiare allegramente piedi di destra e di centro. Non di sinistra. E nella sinistra, caro direttore, ci metto anche quella “Nutella e Coca Cola”. Quel terreno non è poi così diverso dalle più basse politiche berlusconiane che hanno fatto leva, negli ultimi anni, su istinti primordiali di rivalsa e vendetta. Pittella non è il PD. Non rispecchia nulla di quel manifesto fondativo del partito. Manifesto frettolosamente cestinato.
E aggiungo. Guardando al modo in cui ha condotto le primarie ed al metodo ‘creativo’ di raccolta del consenso, sarebbe dovuto essere messo alla porta. In modo netto. Perchè i toni utilizzati così come i metodi dovrebbero sempre rimanere lontani dal PD. E, soprattutto, restano toni e metodi che nulla hanno a che fare con il rinnovamento. Ma che dico rinnovamento. Rivoluzione. Sì perché il suo team di creativi ha partorito uno slogan altissimo: rivoluzione democratica. Che francamente mi riporta a Lenin. Mi pare ne parlasse anche lui. Ma intendeva altro. Qui invece non ho ben capito di cosa si tratti. Cambiamento e rinnovamento? No, troppo poco. Qui, ragazzi, si fa la rivoluzione. Democratica, però. Niente forconi e assalti ai forni. Sarà la rivoluzione delle idee. Caro lettore, se ci sei. Credimi. Le idee non vengono a 50 anni se i precedenti 49 li hai passati a seguire quelle degli altri. E, alla maniera di Marcello, vorrei chiudere anch’io con un appello. A te che sei Pittelliano convinto. A te che sei indeciso, ma propendi per il gladiatore. Non avere paura di non votarlo. Non avere paura di non votare questo PD. L’unica rivoluzione democratica cui puoi aspirare passa necessariamente dalla sconfitta del PD. Di questo PD. E dalla sconfitta del Pittellismo in salsa twitter. Poi, sulle macerie, potrà poggiare, credibilmente e senza neppure l’aiuto di giovani creativi, quella parolina che tutti citano, ma nessuno conosce: il cambiamento.
Cordiali saluti
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