5 minuti per la lettura
VIBO VALENTIA – Al processo “Luce nei boschi” che vede imputate 26 persone ritenute affiliate alla società dell’Ariola è emersa una circostanza rilevante: la polizia sapeva con anni di anticipo il luogo in cui era stato sepolto Antonio Maiolo. A riferirlo in udienza è stato il collaboratore di giustizia Enzo Taverniti il quale, nel rispondere a specifica domanda dell’avvocato Giovanni Marafioti, ha affermato di essere andato, nel 2003, nei pressi del luogo unitamente all’ispettore Giovanni Cosentino e ad altri cinque agenti in servizio al commissariato di Serra San Bruno. La polizia, quindi, a dire del pentito sapeva con almeno 6 anni di anticipo la località nella quale era stato seppellito il cadavere dell’uomo, nonché zio dello stesso Taverniti, ucciso nel 1998 per mano di «Antonio D’Amico di Piscopio (poi ammazzato il 2 giugno 2005, ndr) e da Vincenzo Loielo col quale era molto amico e aveva affari nella spartizioni delle attività illecite. Fu lui a dirmi dell’uccisione dopo aver avuto dissidi col cognato, aggiungendo che l’avevano sotterrato in una zona boscosa sulla quale poi mi ci portò. Il tutto avvenne nelle vicinanze della strada in cui fu fermato Placido Scaramozzino, lui passò con l’auto e gli spararono. La fossa era stata scavata da tempo, il corpo nella zona dei pineti, l’auto privata dei pezzi identificativi e, infine, data alle fiamme. Fu successivamente ritrovata dai vigili del fuoco durante un incendio della zona».
E fu lo stesso Taverniti a far rinvenire il cadavere una volta iniziata la collaborazione con la giustizia, ma su questo aspetto è emerso un dato nuovo: «Fui io a far trovare il corpo di Antonio Maiolo il 12 settembre del 2009. Ma poco dopo il sopralluogo – riferiva nella passata udienza il pentito che per anni è stato confidente delle forze dell’ordine – parlai con la polizia dicendo che gli avrei fatto vedere il posto ma che il corpo non doveva essere toccato fino a quando non avessi deciso io. E il cadavere rimase lì per anni, fino a quando non fu trovato nel 2009, inizio della mia collaborazione».
E proprio su questa nuova circostanza le difese, sintentizzate nell’intervento dell’avvocato Giovanni Marafioti, avevano evidenziato come non vi sia stata alcuna relazione di servizio aggiungendo che nei verbali di interrogatorio questa non viene menzionata. «Ben sei-sette anni prima, temendo di avere ritorsioni dopo l’omicidio dei cognati – aveva affermato il penalista – confidenzialmente aveva portato la polizia sul luogo in cui si trovava il cadavere dissepolto solo nel 2009. Ma si può sapere se esiste una relazione di servizio?». E a questa domanda il collaboratore e teste del pm Marisa Manzini nell’udienza di ieri ha risposto di non aver firmato nulla.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA