X
<
>

Share
2 minuti per la lettura

REGGIO CALABRIA – «Restano oscure le ragioni dell’anomala fattiva opera di “sostegno” in favore del giudice Cisterna da parte della Conidi (ormai senz’altro incontestabile in quanto comprovata dall’odierna produzione documentale del pubblico ministero ed in particolare dal contenuto delle mails)». 

Sono infatti le acquisizioni ottenute dagli inquirenti nel corso delle perquisizioni a carico dell’avvocatessa Claudia Conidi a pesare come macigni sulla decisione del Tribunale della Libertà di Roma, che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del collaboratore di giustizia Antonio Di Dieco, uno dei pentiti gestiti dall’avvocatessa Conidi (indagata nello stesso procedimento) con lo scopo precipuo di screditare il collaboratore Antonino Lo Giudice, che con le sue dichiarazioni aveva accusato diversi membri delle Istituzioni, tra cui l’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna, che verrà trasferito al ruolo di giudice civile a Tivoli. Così come è scritto nelle carte giudiziarie, le perquisizioni nei confronti della Conidi avrebbero dato esito “ampiamente positivo” per l’ipotesi accusatoria. E il provvedimento dei giudici Franca Amadori, Maria Viscito e Marco Genna fa riferimento – senza tuttavia riportarle – alla produzione documentale effettuata dal pubblico ministero Cristiana Macchiusi «attestante un fitto scambio di mails di contenuto confidenziale tra la detta professionista ed il menzionato magistrato». Tra l’avvocatessa Conidi e il giudice Cisterna. I giudici, dunque, parlano di “fitta corrispondenza” tramite posta elettronica. Più fitta dal novembre 2012 quando la Conidi lo avrebbe informato di essere in possesso di una lettera del 6 gennaio 2012 di una “new entry”, che confermava, insieme a Di Dieco, la teoria del complotto ordito ai danni del vice di Piero Grasso. Una tesi su cui i giudici del Tdl dedicano alcune righe: «Manca l’oscura ragione per la quale un nutrito numero di magistrati, operanti in uffici diversi, avrebbe dovuto cospirare proprio e solo contro un unico collega – peraltro, a rigore, molto meno in vista di diversi altri – tanto che persino i giudici “romani” (evidentemente parte del medesimo complotto di quelli “calabresi”) avevano reagito in modo del tutto illogico ed arbitrario quando avevano incriminato l’odierno ricorrente Di Dieco per calunnia».
.
LEGGI IL SERVIZIO INTEGRALE CON TUTTI I DETTAGLI SULLA SENTENZA DEL TRIBUNALE DELLA LIBERTA’ DI ROMA A FIRMA DI CLAUDIO CORDOVA NELL’EDIZIONE CARTACEA O IN QUELLA DIGITALE DE IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA
Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE