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GIOIA TAURO (RC) – E’ un colpo pesante quello che gli inquirenti hanno sferrato nell’ambito della lotta alle cosche della Piana. La polizia, infatti, ha fermato a Gioia Tauro Giovanni Copelli, di 79 anni, con l’accusa di associazione mafiosa. Nelle carte dell’ordinanza è scritto chiaramente che si tratta del “reggente” del potentissimo clan dei Piromalli. A lui, insomma, sarebbe passato il testimone dopo del padrino Giuseppe Piromalli, il temuto “don Peppino”, storico capo del sodalizio che ha baricentro nella Piana di Gioia Tauro ma interessi criminali ormai ramificati ovunque.
COGNATO DEL PADRINO – Copelli è il cognato di “don Peppino” che aveva sposato una sua sorella. Il padrino è poi morto nel 2003 a casa propria: era stato arrestato ma poi scarcerato perché in fin di vita. E ora è finita invece l’attività a piede libera del suo erede.
Il fermo di Copelli è stato effettuato dalla Squadra mobile di Reggio Calabria e dal Commissariato di Gioia Tauro in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Dda reggina. Copelli, secondo quanto ha riferito la polizia.
UN NUOVO PENTITO – Alla base dell’arresto di Copelli ci sono le dichiarazioni rese alla Dda di Reggio Calabria da un nuovo collaboratore di giustizia, Antonio Russo. Gli agenti della squadra mobile reggina, diretti da primo Gennaro Semeraro, hanno svolto una complessa attività d’indagine volta a riscontrare le dichiarazioni accusatorie di Antonio Russo, il quale, seppure mai formalmente affiliato alla ‘ndrangheta, ha dichiarato di avere avuto rapporti con i Piromalli e i Molè, una tempo federati, da più di vent’anni, conoscendone organigrammi, affari e dinamiche criminali.
LA SPARTIZIONE DELLE ESTORSIONI – Secondo il collaboratore, fino all’uccisione di Rocco Molè, avvenuta il primo febbraio 2008, che segnò la fine di un sodalizio tra le due cosche durato cent’anni, la cittadina di Gioia Tauro era suddivisa secondo zone di influenza criminale, per cui i Piromalli esercitavano il controllo del porto di Gioia Tauro e i Molè invece riscuotevano le estorsioni sulla Nazionale 111
Secondo il collaboratore di giustizia, in occasione di lavori effettuati da una ditta di Reggio Calabria a Gioia Tauro, essendo il titolare della ditta a sua volta legato alla cosca reggina Ficara-Latella, nessuno si presentò sul cantiere per chiedere il pizzo, ma lo stesso Copelli in persona si sarebbe recato a Reggio Calabria per trattare direttamente con i Ficara-Latella i tempi e i modi del pagamento del dovuto, nella misura del 4 per cento dell’importo del capitolato, che in quel caso ammontava a oltre 500 mila euro.
Segno, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, non solo dello spessore criminale di Copelli, ma anche che resta confermata la legge non scritta secondo cui qualsiasi impresa, anche mafiosa o vicina ai mafiosi, quando effettua lavori su un determinato territorio deve necessariamente corrispondere una somma percentuale sull’importo del capitolato alla famiglia insediata su quel territorio.
IL SUMMIT NELL’IMPRESA DI COPELLI – Infine, sempre grazie al racconto di Russo, è stato ricostruito un summit mafioso che si sarebbe tenuto nel 2001, a Gioia Tauro, organizzato in un capannone industriale di Copelli, nel corso del quale sarebbero state distribuite cariche all’interno del “locale” di ‘ndrangheta gioiese e sarebbero stati svolti anche riti di affiliazione.
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