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L’AREA archeologica di Metaponto è sommersa dall’acqua a causa degli straripamenti dei giorni scorsi. Sono parzialmente sommersi il Tempio di Hera e il teatro, e lo sono totalmente i resti di tutti gli altri edifici quali i templi di Apollo Lykaios, di Artemis e di Atena. Il silenzio subacqueo che circonda questa notizia è figlio del nostro tempo, della nostra incuria. Direi della nostra subcultura.
In ordine di giustificazione si sente parlare degli eventi meteorologici avversi, della mancanza di cura e di interventi strutturali per la messa in sicurezza. E sono tutte cose vere: alle prime non si può far fronte, se non cercando di limitarne i danni, la seconda si potrebbe limitare selezionando amministratori e politici con un maggior grado di competenza e amore per il proprio territorio.
Ma questo è un discorso travolto dalle reali, e non giustificabili, priorità politiche che sono tutte rivolte ad un insensato e sterile gioco di posizione. In Basilicata ormai non siamo più nemmeno come quelli sul Titanic, che suonano mentre affondano. Noi stiamo già suonando sott’acqua, come a Metaponto. E nessuno se ne lamenta. Infatti esiste un terzo problema, dopo la Natura e la politica che stanno fustigando la nostra Regione, ed è la nostra personale incuria e superficialità.
Chi abbia visitato quei luoghi prima di questo ennesimo disastro non può non essersi accorto dello stato di abbandono in cui versavano gli scavi, il totale abbandono a loro stessi dei (pochi) turisti capitati lì quasi per caso, la mancanza di qualsiasi tipo di valorizzazione culturale. Quindi questo silenzio, non solo dei politici ma della maggior parte della nostra comunità, su questo disastro non porta in sé nulla di nuovo. Nulla di nuovo, ma non per questo meno preoccupante: chi non ha memoria delle proprie origini non ha futuro.
E le nostre origini affondano lì le loro radici, nella Magna Grecia. In quei luoghi non ci sono solo un ammasso di pietre millenarie, cose di cui si occupano gli archeologi e qualche appassionato che non ha di meglio da fare. In quei posti ha camminato, pensato, respirato Pitagora, l’uomo che ha segnato il momento di passaggio dalla matematica applicata alla matematica astratta, dando inizio così ad un percorso di sviluppo culturale di tutta l’umanità che ci ha portati fino al mondo che conosciamo e che viviamo inconsapevolmente.
E originario di Metaponto è stato colui che, da suo allievo prediletto, mise in crisi Pitagora stesso e tutta la sua teoria matematico-religiosa: Ippaso che, scoperti gli irrazionali, venne messo al bando dai pitagorici. Ippaso, il metapontino, morto annegato come già troppe persone di quella stessa zona in questi giorni tremendi. Ippaso, vittima di un nubifragio scatenato da Zeus che lo punì “perché tutto ciò che è irrazionale, completamente inesprimibile e informe, ama rimanere nascosto; e se qualche anima si rivolge ad un tale aspetto della vita, rendendolo accessibile e manifesto, viene trasportata nel mare delle origini, ed ivi flagellata dalle onde senza pace”. Se questo è mitologicamente vero, viene da chiedersi quale aspetto irrazionale della vita abbia portato alla luce Metaponto, per essere flagellata allo stesso modo di Ippaso.
Forse l’irrazionalità della mancanza di un rigurgito di responsabilità da parte della politica (candidati alle prossime regionali, lasciate i tavoli ai falegnami, e fate qualcosa per questo scempio! Ministro Bray: cosa dobbiamo aspettare ancora?), ma soprattutto da parte della comunità lucana, degli uomini di scienza e di cultura che devono far sentire la loro voce e chiedere un intervento immediato per la risoluzione di questo problema ma, ancora di più, per la valorizzazione di questo sito. È intollerabile che ciclicamente questo problema si ripresenti nell’indifferenza generalizzata: il cambiamento deve essere innanzitutto culturale, evitando gli slogan e le finte rivoluzioni. Rivoluzioni che da noi, nel migliore dei casi, avvengono solo nel senso astronomico del termine: una rotazione su se stessi, per poi tornare allo stesso punto di partenza, solo un po’ più intontiti.
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