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A proposito di alluvioni qualche anno addietro a Vibo Valentia si tenne un convegno organizzato dal comune in collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Archeologici sul tema “Storie intorno all’acqua”. Venne ripercorsa non solo la storia delle alluvioni in quella parte del sud Italia, ma anche la concezione sacra che gli antichi avevano dell’acqua. I riti di fondazione legati ad essa, sui fiumi e sul litorale, avevano un significato profondo in una civiltà che venerava l’acqua come fonte di vita, ma ne temeva anche i suoi aspetti distruttivi. Non a caso uno degli interventi venne stato dedicato alla “Simbologia dell’acqua in Magna Grecia”. Anche a Metaponto era noto il culto di Afrodite, Dea nota per la sua bellezza e che era nata dal mare e poi il culto di Euploia per la buona navigazione, o quello di Leucotea, dea marina madre di Palemone, protettore anche quest’ultimo dei naviganti, di Poseidone, di Scilla e Cariddi.
Nel suo intervento, intitolato, “Eventi alluvionali in Calabria: strumenti e tecniche di previsione e monitoraggio”, l’ingegnere Salvatore Fusto pose l’attenzione sulla “pericolosità” dell’acqua e l’incapacità, nel corso del tempo, delle autorità competenti di porre in campo soluzioni adeguate al fenomeno ricorrente delle alluvioni. Fusto sottolineò, tra l’altro, che nonostante un sistema di monitoraggio, che in Calabria consta di 179 stazioni, nonostante la previsione di centri funzionali previsti in ciascuna Regione, collegati agli enti comunali attraverso sale operative regionali, spesso le azioni sul territorio risultano tardive. In Basilicata è noto che ogni qual volta piove con una intensità al di sopra della media si registrano danni catastrofici all’ambiente, agli allevamenti ed all’agricoltura e qualche volta anche alle persone.
A Metaponto quando arrivarono i Greci intorno al VII a. C. una delle prime cose che fecero fu la bonifica delle terre e un sistema di drenaggio delle acque intorno alla città per proteggere il centro abitato. Poi le fattorie che realizzarono e che avevano una estensione di circa 26 ettari ciascuna, erano dotate di canali di scolo ed ovviamente le abitazioni erano sempre realizzate in posti sicuri e con criteri tali da evitare, in una zona che è una conca, di essere spazzate via da un’alluvione. Poi arrivarono i romani e con essi il latifondo che è durato per circa duemila anni. Il metapontino divenne un pantano infestato dalla malaria. Non a caso a Policoro si creò il più importante bosco umido del sud Italia.
Nei primi decenni del ‘900 il fascismo iniziò l’opera di bonifica delle terre, ma venne frenato dai latifondisti e dagli agrari che gli impedirono di fare quello che invece realizzò con successo nell’Agro Pontino con l’assegnazione delle terre e la fondazione di importanti città.Negli anni ’50 l’ente riforma, dopo le proteste per avere un pezzo di terra da parte dei braccianti e dei sindacati, completò la bonifica delle terre, espropriò il latifondo ed assegno poderi di 6 o 7 ettari. Contemporaneamente iniziarono ad irrobustirsi i centri abitati della costa, la cui vita fino ad allora era ruotata intorno al castello o al palazzo del latifondista.
La costruzione dei centri abitati è andata avanti negli anni senza un criterio razionale e senza tener conto della storia e delle esperienze del passato. Per cui Metaponto ogni volta che piove va sott’acqua e nelle strade si circola in barca come a Venezia, ma danni si registrano anche a Marconia, Scanzano, Policoro, tirate su senza un efficace drenaggio delle acque e ci si meraviglia se si allagano strade e case.
Nel frattempo i letti dei fiumi, che trasportavano inerti a mare, sono stati violentati, in alcuni casi si è disboscato e si è coltivato al loro interno, l’opera di forestazione è andata avanti a singhiozzo, il consorzio di bonifica non bonifica più nulla ed è alle prese con una crisi cronica ed il territorio è abbandonato a se stesso. Nel corso del citato convegno calabrese qualcuno ha affermato che per avere “la felicità eterna” o, senza pretendere tanto, una qualità di vita migliore, basterebbe tenere a mente quanto inciso su una laminetta orfica, rinvenuta in una tomba di donna risalente a qualche secolo prima di Cristo: “Bere alla fonte della memoria”. E’ il caso di dire che siamo una società smemorata ed il passato non ci insegna nulla.
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