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CASSANO ALLO JONIO – La storia drammatica di abusi e incuria, che danneggiano irrimediabilmente il nostro patrimonio culturale si ripete in lungo e in largo nel territorio della Magna Grecia, tra Basilicata e Calabria.

Lo sa bene il sindaco di Cassano allo Jonio, Giovanni Papasso, che da dieci mesi combatte la sua battaglia per salvare gli scavi archeologici di Sibari, dal fango riversato lo scorso 18 gennaio dal fiume Crati. Oggi, dopo dieci mesi, l’area archeologica più vasta di quella metapontina, invasa da 220mila metri cubi di acqua (a Metaponto ce ne sono 80mila), è ancora piena di fango.

«Purtroppo è così -ci confessa Papasso, 55 anni, sindaco di Cassano dal maggio 2012- ed io sono pervaso sempre di più da un sentimento di tristezza, perché al di là dei primi interventi coordinati dal ministero per i Beni culturali, quello che si avverte oggi è l’impressione dell’abbandono. Per questa ragione solidarizzo con la popolazione lucana, la Sovrintendenza regionale, il Comune e la direzione dell’area archeologica di Metaponto. La storia si è ripetuta e leggo che a Metaponto è la terza volta in cinque anni; una dato che non si può proprio tollerare.

Qui si sta ancora combattendo per liberare gli scavi dal fango, abbiamo operato con i fondi Por e la partecipazione del ministero, ma oggi è ancora tutto fermo, con il parco abbandonato nella melma. Per tutti noi è un dovere morale, civile e culturale preservare la storia in modo che venga tramandata ai nostri figli. Non è tollerabile che a Metaponto, gli scavi facciano da vasca naturale alle piene del Bradano. Apprezzo molto l’iniziativa del Quotidiano, che ha raccolto tantissime firme di persone molto importanti, sensibilizzando tutti rispetto a questo tema, perché gli uomini finiscono ma la storia va avanti».

Papasso lancia l’idea di una battaglia comune di Basilicata e Calabria per salvare questo patrimonio dalla rovina definitiva. A Sibari, come anche per certi versi in Basilicata, il sindaco è costretto a combattere anche contro l’abusivismo, che causa l’allagamento degli scavi. «E’ proprio così -spiega- perché in quella zona gli agrumeti fanno da barriera al normale deflusso dell’acqua e deviano tutto verso gli scavi. Nei giorni scorsi, durante un sopralluogo, ho verificato che un agricoltore per accedere al suo agrumeto ha aperto un varco sulla sponda del fiume indebolendola e mettendo ancora più a rischio gli scavi. Poi ci sono agrumeti sopraelevati, o realizzati in Siti di interessi comunitari. Ho emesso diverse ordinanze di eradicazione e denunce alla Procura, ma finora ho rimediato solo gomme squarciate e graffi sulla mia auto. Non importa, io vado avanti nella mia battaglia per la legalità».

a.corrado@luedi.it

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