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POTENZA – Cosa potrebbe succedere se il Parlamento approvasse l’atto di clemenza sollecitato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano?
E’ la domanda a cui si è provato a dare risposta cercando tra i processi più eclatanti in corso a Potenza e Matera e verificando i reati contestati caso per caso.
Come idea di quello che potrebbe essere il provvedimento adottato dalle camere si è preso il disegno di legge attualmente allo studio del Senato che sulla falsariga di tutti gli altri approvati negli anni scorsi prevede l’amnistia per tutti «i reati commessi entro il 14 marzo 2013 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni».
Non sono stati considerati invece gli effetti dell’indulto perché intervenendo solo sulla pena non cancella i reati né i processi in corso che andaranno comunque a definizione.
DI BELLO-BOLOGNETTI. IL CASO PERTUSILLO (E GLI STRACCI A 5 STELLE)
Quella condanna in primo grado a due mesi e venti giorni gli è costata la candidatura come presidente della Regione con il Movimento 5 Stelle dopo le primarie online che lo avevano visto vincitore. E domani il processo nei suoi confronti potrebbe essere tra i primi a finire in discarica per effetto dell’amnistia.
Pende ancora in appello il processo per rivelazione di segreto d’ufficio a carico dell tenente Giuseppe Di Bello, della polizia provinciale di Potenza, noto per le inchieste e le campagne a tutela dell’ambiente. Pena massima prevista per quel tipo di reato: tre anni di reclusione.
L’oggetto della fuga di notizie, che risale agli inizi di gennaio del 2010, è un’informativa sull’inquinamento delle acque dell’invaso del Pertusillo, che due mesi dopo sarebbe stata trovata nel computer del segretario dei Radicali lucani, Maurizio Bolognetti. Per lui, che ha preferito il rito ordinario, il gup ha deciso il rinvio a giudizio ed è ancora in corso il dibattimentodi primo grado.
Con i dati sulla presenza di una serie sospetta di elementi contaminanti nell’invaso, Bolognetti avrebbe lanciato un vero e proprio allarme, che nei mesi successivi ha trovato pure diversi riscontri. Di fatto, nonostante le rassicurazioni di Acquedotto lucano spa sul corretto funzionamento dei potabilizzatori per l’acqua destinata al consumo umano, la presenza di scarichi abusivi nel Pertusillo sarebbe stata dimostrata da ripetute morie di pesci, e analisi di vari istituti.
Dal canto loro Di Bello e Bolognetti insistono su una convenzione firmata dall’Italia in sede europea già nel lontano 1998 che impegna le istituzioni a diffondere «immediatamente e senza indugio» tutte le informazioni in loro possesso «in caso di minaccia imminente per la salute umana o per l’ambiente (…) che consentano a chiunque possa esserne colpito di adottare le misure atte a prevenire o limitare i danni derivanti da tale minaccia».
I TABULATI DI CANNIZZARO E IL SERMONE DI DON COZZI NELL’ANNIVERSARIO DI ELISA
E’ accusato di diffamazione a mezzo stampa il vicepresidente nazionale di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Don Marcello Cozzi. Pena massima prevista: 3 anni di reclusione ben dentro i limiti previsti dal disegno di legge allo studio del Senato per i reati destinati all’amnistia.
Alla base dell’imputazione nei confronti del sacerdote, animatore in Basilicata anche del centro studi Cestrim e della fondazione antiusura “Interesse uomo”, che tuttora gestisce diversi centri d’ascolto sparsi per tutta la provincia di Potenza, ci sono le parole pronunciate il 12 settembre del 2010 dai gradini dell’ingresso laterale della chiesa della santissima Trinità, nel primo anniversario della “scomparsa” di Elisa Claps dopo il rinvenimento dei suoi resti pochi metri più in alto in cui aveva fatto riferimento ai contatti telefonici intercorsi tra presunti esponenti della ‘ndrangheta e Michele Cannizzaro, medico, imprenditore, ex direttore generale del San Carlo, nonché marito dell’ex pm Felicia Genovese, che nel 1993 aveva condotto le prime indagini sul caso della studentessa che da quella domenica non sarebbe più tornata a casa.
LE DONNE DELLE PULIZIE, IL MISTERO DELLA TRINITA’ E LE BUGIE SULLA SCOPERTA
«Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni».
Questo è quanto viene contestato a Margherita Santarsiero e Annalisa Lo Vito, le due donne delle pulizie imputate nel processo bis sul giallo di Potenza. Al centro c’è il ritrovamento del corpo di Elisa Claps, o meglio il primo ritrovamento che secondo quanto dichiarato dal viceparroco della Trinità Don Wagno De Oliveira e Silva sarebbe avvenuto qualche settimana prima quello “ufficiale”. Le due donne però – indicate come chi avrebbe concretamente scoperto il cadavere – hanno negato la circostanza di fronte agli investigatori. Da qui l’accusa di false informazioni.
Il processo a loro carico è stato trasferito lunedì da Salerno a Potenza per competenza accogliendo l’eccezione sollevata da legale delle due donne l’avvocato Maria Bamundo.
IL VICEMINISTRO BUBBICO E LA CONSULENZA “INUTILE” PER IL CONSIGLIO REGIONALE
La pena prevista va da uno a quattro anni, ma per fatti precedenti al 6 novmebre del 2012 da sei mesi a tre anni. Come nel caso che vede imputato il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, l’ex assessore Egidio Digilio, l’ex assessore regionale alla Formazione Rosa Mastrosimone, e gli ex consiglieri Antonio Flovilla e Giacomo Nardiello, tutti già membri dell’ufficio di presidenza del parlamentino di via Verrastro.
Sono tutti imputati di concorso in abuso d’ufficio per un incarico di consulenza da poco più di 23mila euro affidato a un professionista “esterno” con il compito di elaborare un progetto di riorganizzazione proprio del Consiglio regionale.
L’atto incriminato risale al 2005 e sarebbe stato viziato dalla mancata verifica dell’effettiva «assenza di risorse umane all’interno dell’amministrazione in grado sotto il profilo quali-quantitativo di svolgere l’attività affidata al consulente esterno». A maggior ragione perché all’interno degli uffici del Consiglio in quel periodo prestavano servizio 87 dipendenti, tra i quali 9 dirigenti e 46 funzionari con qualifica direttiva.
L’INCENDIO DELL’AUTO DEL POLIZIOTTO POZZESSERE “SOLO” DANNEGGIAMENTO
Ottobre del 2012 è stato un mese particolarmente caldo nell’area del metapontino. Tanto che appena qualche settimana fa anche la relazione semestrale della Dia lo ha fatto rilevare. L’episodio che forse ha destato maggiore preoccupazione è stato l’incendio dell’auto di un poliziotto di Scanzano, per cui Michele Puce e Domenico Marino, entrambi del posto ben conosciuti agli uffici giudiziari e arrestati lo scorso 12 luglio per spaccio di cocaina, sono accusati di danneggiamento. Niente di più. Che anche se aggravato prevede una pena massima di tre anni. Per questo anche il processo nei loro confronti rischia di finire nel novero di quelli cancellati dall’amnistia.
«Alle 23 -raccontava al Quotidiano il giorno dopo l’incendio Cosimo Pozzessere, agente 46enne della Digos in servizio al Commissariato di Scanzano – stavo andando a letto insieme alla mia famiglia (Pozzessere ha due figlie molto giovani ndr), dopo alcuni giorni di intenso lavoro. Dopo circa 10 minuti ho sentito un boato: mi sono affacciato ed ho visto la mia auto in fiamme. Il forte rumore è stato dovuto, molto probabilmente, allo scoppio di un pneumatico dovuto all’incendio. A questo punto ho fatto appena in tempo a spostare l’altra mia auto, una Toyota Yaris, prima che le fiamme l’avvolgessero distruggendola».
All’inizio si era pensato allo soppio di una bomba rudimentale, collocata davanti all’auto poi gli investigatori si sono convinti che sia trattato di una molotov. L’abitazione dell’agente si trova nella zona Lido, precisamente a pochi metri dal complesso turistico “Summer Time” chiuso da anni. Un quartiere-dormitorio dove non ci sono attività commerciali per svagare e socializzare, anche se molto frequentato. Nelle settimane precedenti Pozzessere aveva tratto in arresto alcuni delinquenti della zona per spaccio di droga.
«Credo -continuava- che fossero appostati di fronte casa, pronti ad intervenire da un momento all’altro. Non conosco le modalità dell’incendio, perché quando mi sono affacciato la mia automobile era avvolta dalle fiamme e ora si trova nello scasso di Lo Duca».
l.amato@luedi.it
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