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REGGIO CALABRIA – E’ stato arrestato e rinchiuso nel carcere “San Pietro” il direttore responsabile del mensile di Reggio Calabria “Il dibattito”, Francesco Gangemi, 79 anni. Nonostante le sue precarie condizioni di salute e l’età avanzata il giornalista è finito dietro le sbarre. Ieri tre poliziotti hanno bussato alla sua porta di casa e lo hanno arrestato a seguito di un “Provvedimento di esecuzione di pene concorrenti con contestuale ordine di esecuzione per la carcerazione” emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Catania e a firma del Sostituto Procuratore Generale Elvira Tafuri.
Molte le reazioni all’arresto di Gangemi con diverse sollecitazioni alle istituzioni perché possano essere affrontati sia il caso specifico di Gangemi sia, più in generale, le posizioni dei giornalisti nella legge sulla diffamazione a mezzo stampa.
OTTO CUMULI DI PENA. Il direttore è stato prima condotto alla Questura di Reggio e successivamente trasferito alla casa circondariale “San Pietro”. Il giornalista deve scontare due anni di reclusione per otto sentenze definitive emesse in diverse procure calabresi e siciliane per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Tra i cumuli pene spunta anche una condanna ad un anno di reclusione per falsa testimonianza emessa dal tribunale di Reggio Calabria il primo marzo del 1997. I fatti, in questa unica circostanza, non riguardano l’attività giornalistica, ma quella politica. I fatti risalgono al 1992 quando un terremoto giudiziario investì la giunta comunale reggina guidata dal sindaco democristiano Agatino Licandro per un presunto abuso amministrativo riguardante l’arredo urbano: il processo si risolse con una generale assoluzione per gli assessori. L’allora primo cittadino (finito in manette per l’accusa di aver preso tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire) decise di collaborare con la giustizia e rendere delle dichiarazioni che consentirono ai magistrati di far luce su questioni importanti della vita politica e cittadina. All’epoca Gangemi era consigliere comunale e dopo le dimissioni di Licandro fu sindaco per sole tre settimane nel corso del mese di luglio del 1992. Prima della tangentopoli reggina aveva denunciato nell’aula consiliare di Palazzo San Giorgio che in qualche stanza del comune le valigette entravano piene di soldi e ne uscivano vuote. Al processo che ne scaturì, interrogato dal giudice, si rifiutò categoricamente di rivelare le fonti di quanto aveva denunciato in consiglio. Il giudice lo condannò a un anno di reclusione per falsa testimonianza. Da 35 anni Gangemi è direttore de “Il dibattito”. Nel corso della sua attività ha incassato otto condanne definitive: dalla Corte d’Appello di Reggio (l’8 febbraio del 2006; il 28 novembre del 2006, il 18 febbraio del 2010; il 17 novembre del 2010); dalla Corte d’Appello di Catania (il 10 gennaio del 2011; il 10 luglio del 2013), dal Tribunale di Cosenza (il 28 settembre del 2012).
Gangemi è stato rinchiuso in carcere per aver omesso «di presentare l’istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti». Il cumulo delle pene risulta essere pari a sei anni di reclusione a cui vanno sottratti tre anni per i benefici dell’indulto (ex legge n.241 del 2006) e un anno dedotto per i periodi riconosciuti fungibili (aveva espitato dal 9 novembre del 2004 al 9 novembre del 2005) una condanna emessa il 3 novembre del 2004 dal Gip di Catanzaro. «Le sentenze si rispettano – scrive Maurizio, il figlio di Gangemi sul sito ilreggino.it di cui è responsabile – Si discutono e si commentano, certo, ma si rispettano. Chiunque ne sia il soggetto destinatario, anche mio padre! Detto questo, con la convinzione di chi ha avuto in eredità dal padre proprio rettitudine, onestà e, soprattutto, dignità, a me non resta che discuterne un po’. Posso, per esempio, dire che per reati molto più gravi si rimane liberi (magari di reiterarli); posso, per esempio, dire che mio padre ha da poco compiuto 79 anni; posso, per esempio, elencare tante di quelle patologie gravi che affliggono mio padre da riempire cartelle cliniche di quasi tutte le specializzazioni mediche esistenti; posso, per esempio, dire che mio padre è stato riconosciuto invalido civile al 100% (senza diritto di accompagnatore e, quindi, senza indennizzo economico – diciamo l’opposto di qualche onorevole, ecco!); posso, per esempio, dire che ho difficoltà a credere che il regime carcerario sia compatibile con tutto quello di cui soffre e con tutte quelle medicine che io e mia madre gli abbiamo scrupolosamente preparato non dimenticando di appuntargli dosi ed orari. E’ una vicenda grottesca quella che vede protagonista mio padre. E’ così tanto grottesca che solo in Italia poteva verificarsi. In nessun altro Paese civile, un giornalista che ha nel Dna la sete di Giustizia che ognuno di noi dovrebbe avere è, da oggi, recluso in un carcere! Che sia chiaro a tutti (a scanso di equivoci e qualora non lo si fosse colto): oggi, più di ieri, sono fiero ed orgoglioso di mio padre».
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