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BERNALDA – Un anno intero di violenze fisiche e psicologiche, condite da ogni forma di vessazione. Così, l’ennesima donna ha subìto sistematicamente gli effetti delle turbe psichiche del suo compagno violento e geloso.
I fatti sono avvenuti tra le mura domestiche, ma la cosa più grave è che la vittima ha continuato a subire senza denunciare, nascondendo le conseguenze fisiche delle percosse. Tutto perchè amava e temeva il suo carnefice. Solo grazie alla costante opera di persuasione e raccolta di informazioni, operata dai carabinieri della Stazione di Bernalda, si è scongiurato un altro probabile evento drammatico.
Sì, perchè il 27enne Abdel Jehb di origini tunisine, era già arrivato a sfregiare con un coltello la sua convivente perseguitata, una donna bernaldese di 47 anni.
Gli atti violenti e persecutori erano iniziati nel dicembre del 2012, quando la donna ha iniziato a manifestare in pubblico le ferite di continue percosse subìte dall’uomo, spesso in stato di ubriachezza molesta. Il tunisino è un personaggio noto alle forze dell’ordine per la sua inclinazione alla violenza, essendo stato già denunciato per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato da incendio.
I carabinieri avevano capito tutto, notando le condizioni in cui troppo spesso vedevano la povera donna. Ma lei continuava a non voler denunciare, inventando ogni forma di scusante per giustificare lividi e segni evidenti di percosse.
Eppure la donna, di 20 anni più adulta del suo convivente, veniva sottoposta in modo quasi abituale ad un regime di vita intollerabile e vessatorio, con una serie di sofferenze fisiche e psicologiche, fino all’escalation della coltellata al viso, che le ha procurato una ferita importante, con una prognosi certificata di trenta giorni. Negli altri casi, non era stata mai refertata da un medico, dunque non c’era alcuna certificazione dei danni delle percosse subìte. L’ultimo episodio, accaduto nell’agosto scorso a Rossano Calabro, è stata la fortunata goccia che ha fatto traboccare il vaso, perchè la vittima, rassicurata e protetta dai carabinieri, ha finalmente sporto denuncia nei confronti di quello che era diventato ormai il suo aguzzino.
Quindi sono partite le indagini, che hanno portato i militari a trovare il coltello di genere proibito, utilizzato per l’ultima aggressione. Era in possesso del tunisino, che non ha saputo dare alcuna spiegazione, nè per i suoi gesti sistematici, nè tantomeno per il possesso dell’arma bianca.
Così, i militari hanno segnalato tutto all’autorità giudiziaria che, vista la oggettiva pericolosità sociale dell’uomo, ha autorizzato un provvedimento di custodia cautelare in carcere, per le ipotesi di reato di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali gravissime ed aggravate dall’uso delle armi. Un provvedimento reso necessario anche dalle recenti disposizioni dell’articolo 2 del decreto legislativo numero 93 del 14 agosto 2013, dove sono contenute le “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto delle violenze di genere”.
Questo caso, come tanti altri, deve fungere da monito per tutte le donne che subiscano violenze tra le mura domestiche: non serve dare una seconda, una terza e a volte anche una quarta possibilità al marito/convivente violento; non serve attendere le lesioni gravi o gravissime, magari con danni permanenti come in questo caso, per denunciare. Occorre recarsi immediatamente dalle forze dell’ordine, che nei casi limite provvedono a chiedre l’immediata emissione di un provvedimento limitativo della libertà, come può essere il divieto di avvicinamento alla vittima, che contribuisce certamente a scoraggiare ulteriori intenzioni violente, con il rischio concreto dell’arresto immediato. Non è più ammissibile la tolleranza di gesti violenti sulle donne, ma devono essere loro a denunciare.
a.corrado@luedi.it
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