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ROMA – Confermare le condanne per i nove imputati del filone principale del procedimento ‘Why not’ – tra queste quella a un anno per abuso d’ufficio a carico dell’ex presidente di centrosinistra della Regione Calabria Agazio Loiero – sul malaffare nel governo della Regione tramite una associazione per delinquere costituita da soli soggetti privati che si avvaleva di volta in volta dell’apporto di singoli pubblici ufficiali per ottenere finanziamenti pubblici alle loro iniziative imprenditoriali. Lo ha chiesto la Procura della Cassazione nella requisitoria all’udienza conclusasi nel pomeriggio. Il verdetto si attende probabilmente in serata o, al massimo, nella giornata di domani. In particolare, il sostituto procuratore generale Maria Giuseppina Fogaroni, oltre alla conferma della condanna per Loiero, ha chiesto anche la conferma della condanna a tre anni e dieci mesi di reclusione per associazione a delinquere per l’imprenditore Antonio Saladino per il quale ha chiesto però la rimodulazione della pena accessoria che comprende l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e quella temporanea dell’interdizione legale. Inoltre, secondo il Pg è da confermare la prescrizione per l’ex presidente della Regione Calabria del centrodestra Giuseppe Chiaravallotti. Gli altri imputati sono Francesco Maria Simonetti (1 anno), Nicola Durante (1 anno, ex braccio destro di Loiero), Antonio La Chinia (1 anno e 9 mesi), Giuseppe Lillo (2 anni), Francesco Saladino (4 mesi), Rinaldo Scopelliti (1 anno). In sostanza il Pg Fogaroni ha chiesto ai giudici della Sesta sezione penale, presieduti da Nicola Milo, di convalidare quasi interamente – eccetto per quanto riguarda la pena accessoria di Saladino – la sentenza emessa il 27 gennaio 2012 dalla Corte di Appello di Catanzaro che aveva modificato la pronuncia di primo grado. L’inchiesta ‘Why not’, dal nome di una delle imprese finanziate con questo genere di connivenze, iniziò nel 2006 affidata all’allora pm Luigi De Magistris, poi sceso in politica e ora sindaco di Napoli. Per irregolarità nella conduzione delle indagini, il fascicolo fu avocato dalla Procura generale di Catanzaro e poi conteso nella cosiddetta ‘guerra delle procure’, tra Catanzaro e Salerno. Polemiche roventi scoppiarono per l’enorme mole di intercettazioni – supervisionate dal consulente informatico di De Magistris, Gioacchino Genchi – tra le quali quelle di parlamentari del governo Prodi. De Magistris finì sotto procedimento disciplinare del Csm e poi lasciò la toga.
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