X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

CROTONE – «C’è una parte dello Stato che ha riconosciuto che è pericoloso che io resti in Italia. Ed è il Servizio centrale di protezione. Ma c’è un’altra parte dello Stato, i vertici della Commissione centrale, che non mi ascolta e non decide». E’ il pentito crotonese Luigi Bonaventura a rendere noto che sono state avviate trattative bilaterali tra l’Italia e alcuni Stati per il suo possibile trasferimento all’estero e a lamentare che però la vertenza sia «ancora in alto mare». Come si ricorderà, il suo ricorso al Consiglio di Stato contro una decisione del Tar del Lazio che disponeva il trasferimento immediato dal cosiddetto sito protetto di Termoli (ormai è un segreto di Pulcinella che il collaboratore di giustizia sia residente là), fu respinto anche se i giudici affermavano l’«ovvia necessità che nella località di destinazione siano disposte adeguate misure per l’effettiva mimetizzazione». Ma ancora non ci sono novità sostanziali e, soprattutto, «ancora non mi hanno dato la scorta», dice Bonaventura reiterando il suo appello che nasce dalla denuncia di falle nel sistema di protezione e nella più che mai presunta oasi protetta di Termoli. 

Quella Termoli in provincia di Campobasso, la città in cui Lea Garofalo, testimone di giustizia di Petilia Policastro, subì un tentativo di rapimento sei mesi prima di scomparire nel nulla e venire uccisa. Quella Termoli divenuta deposito di collaboratori di giustizia ed ex isola felice in un Molise sempre più infiltrato dalla ‘ndrangheta, come dimostra anche l’arresto, avvenuto un anno fa, per traffico di armi, di Eugenio Ferrazzo, figlio dell’ex boss pentito di Mesoraca, il cui arsenale era, invece, a 200 metri dall’abitazione di Bonaventura. Successivamente lo stesso Eugenio Ferrazzo è diventato anche lui collaboratore di giustizia. Ma c’è dell’altro. «La mimetizzazione non ha funzionato non per la disvelazione della località protetta ma per la corruzione di organi ed apparati della giustizia che si occupano della tutela dei collaboratori», è detto nel ricorso al Consiglio di Stato predisposto dai legali del pentito crotonese. Per questo Bonaventura ha sempre affermato di voler accettare il trasferimento soltanto con «minime garanzie». 
Adesso sembrano esserci spiragli per la soluzione della vicenda, anche se «non è del tutto chiaro», stando a quanto riferito dal collaboratore di giustizia, se il trasferimento all’estero implichi la cessazione del programma di protezione al quale è sottoposto. «Secondo il mio punto di vista – precisa il pentito che con le sue rivelazioni ha contribuito a far infliggere dure condanne a boss e gregari delle cosche del Crotonese – la protezione per me e i miei familiari dovrà continuare anche all’estero». Tanto più, è il caso di rilevarlo, che le organizzazioni criminali operanti nella provincia di Crotone, e contro le quali il pentito ha testimoniato, hanno ramificazioni internazionali, come attestato da numerosi dati processuali. Intanto, Bonaventura continua la sua protesta. Per esempio, non firma mai i verbali delle comunicazioni che gli agenti del Nucleo operativo di protezione gli sottopongono.
Share
root

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE