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POTENZA – Ora manca solo il sì del Consiglio regionale, e l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri sarà realtà. Assieme al fondo per infrastrutture e lavoro di «rilievo regionale, provinciale e locale», da sommare alle vecchie royalties. Quello del Memorandum, tanto per capirsi. E potrebbe essere soltanto l’inizio.

E’ stato firmato dai ministri di Sviluppo economico ed Economia Flavio Zanonato e Fabrizio Saccomanni il decreto attuativo dell’articolo 16 del dl liberalizzazioni di gennaio del 2012. Il fatto risale al 12 settembre, dopo i rumors in proposito raccolti dal Quotidiano a partire da metà luglio, ma è stato reso noto soltanto ieri.

In realtà il provvedimento era atteso da settembre dell’anno scorso, ma è slittato di 12 mesi. Forse anche a causa del contrasto tra Governo e Regione nato sulla moratoria alle nuove trivellazioni decisa la scorsa estate dal parlamentino di via Verrastro, e bocciata dalla Corte costituzionale soltanto agli inizi di giugno.

Il regolamento attuativo della norma che ha recepito gli intenti sottoscritti ad aprile del 2011 dal presidente “dem” della Regione Vito De Filippo e il sottosegretario “azzurro” allo Sviluppo economico Guido Viceconte è composto da 4 articoli.

Al primo spiega il suo ambito di applicazione in cui rientrano tutti gli accordi regione-compagnie per la produzione di idrocarburi stipulati di qui in avanti. Non tutti però, ma soltanto quelli stipulati con imprese di nuova costituzione che hanno per oggetto sociale l’estrazione di petrolio e gas nel sottosuolo  e sede legale nello stesso territorio. In pratica non Eni e nemmeno Total Italia, che hanno sede a San Donato e Roma. Ma se la compagnia del cane a sei zampe di Sinisgalli vorrà una chance in più di convincere i lucani riottosi a estrarre i tanto agognati 25mila barili di petrolio in più al giorno farà bene a costituire una società apposita nei dintorni della Val d’Agri. Stabilire un ufficio più o meno di rappresentanza con qualcuno che risponda al telefono. E cominciare a pagare anche le tasse regionali tipo Irap, per finanziare la sanità locale piuttosto che quella lombarda.

Messe a posto le carte quello che prevede il regolamento appena approvato è che a Roma il gettito di un’altra imposta, l’Ires, dovrebbe essere “deviato” nel “Fondo” appena costituito in misura del 30%, fino a raggiungere 130 milioni di euro, e poi del 15% per le eccedenze. In soldoni? Le previsioni raccolte dal Quotidiano a fine luglio parlavano di 2 miliardi di euro. Dato il termine temporale stabilito di 10 anni dal rilascio della nuova autorizzazione vorrebbe dire 200 all’anno per «finanziare  interventi per lo sviluppo  di  progetti  infrastrutturali  e  occupazionali  di crescita dei territori di insediamento degli  impianti  produttivi  e dei territori limitrofi». Così il secondo articolo del decreto.

«L’intervento  del  Fondo – prosegue l’articolo numero 3 –  è  finalizzato  al  finanziamento  di progetti  strategici,  sia  di  carattere  infrastrutturale  sia  di carattere immateriale, di rilievo regionale,  provinciale  o  locale, aventi natura di grandi progetti  o  di  investimenti  articolati  in singoli interventi di consistenza progettuale ovvero realizzativa tra loro funzionalmente connessi, in relazione a  obiettivi  e  risultati quantificabili e misurabili, anche  per  quanto  attiene  al  profilo temporale».

Di più non dice e proprio quello che non si legge è la parte più scomoda di tutto il provvedimento perché sarà Roma, con ogni probabilità lo stesso ufficio che ha gestito lo “sfortunato” bonus idrocarburi a dover decidere quali progetti finanziare. E non è questione da poco, vista anche la concorrenza che si prospetta tra ammistrazioni «di rilievo regionale, provinciale o locale» proponenti.

La chiosa, infine, è sulla logica dietro l’improvvisa generosità del Governo. «Questo provvedimento – spiega la nota con cui è stato presentato alla stampa ieri mattina – è coerente con l’obiettivo, delineato nella Strategia energetica nazionale, di aumentare la produzione nazionale di idrocarburi portando dal 7 al 14% il contributo al fabbisogno energetico totale al 2020, con una previsione di 17 miliardi di euro di investimenti, oltre 100 mila posti di lavoro addizionali, un risparmio di oltre 5 miliardi di euro l’anno sulla fattura energetica e ulteriori 3 miliardi l’anno in entrate fiscali. E tale sviluppo può avvenire riducendo complessivamente il numero di infrastrutture (pozzi e piattaforme), grazie all’ottimizzazione della progettazione e all’uso di tecnologie all’avanguardia».

Oggi la Basilicata da sola si ferma al 6% con gli 83mila barili e rotti estratti dall’Eni in Val d’Agri ogni giorno, su 105 mila già autorizzati. Ma entro un paio d’anni dovrebbe entrare in produzione anche Tempa Rossa con altri 50mila sempre già autorizzati. Per arrivare a quanto previsto servono quindi i 105mila dell’Eni in Val d’Agri più altri 25mila. Resta solo da capire se il parlamentino lucano vorrà dire di sì.  

l.amato@luedi.it

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