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di ANTONELLA CIERVO
SE avesse ascoltato la madre, il ministro della cultura Massimo Bray oggi sarebbe già cittadino di Matera. Qualche anno fa, infatti, aveva visitato la città con lei e la donna era rimasta talmente affascinata da Matera da pensare all’acquisto di una casa. 
Non se ne fece più nulla ma quel fascino lo ha colpito di nuovo ieri,  tanto da farlo passeggiare come un turista in giro per musei, mostre e luoghi suggestivi. 
Il Palombaro è stato uno dei primi appuntamenti; la magia sotterranea del luogo che custodì l’acqua della popolazione lo ha accolto nel corso della visita svolta ieri mattina; poi (e questo su convinta segnalazione del vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico, ndr.)  nell’ex ospedale di san Rocco per visitare la mostra antologica delle maioliche di Giuseppe Mitarotonda. L’arrivo anticipato rispetto alla cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria a Francesco Rosi, a Palazzo Lanfranchi, gli aveva consentito di visitare le sale in cui sono custodite opere straordinarie accompagnato dalla Soprintendente Marta Ragozzino. Un viaggio nel tempo e nell’arte svolto lontano da fotografi e telecamere nel silenzio delle sale al primo piano dell’edificio storico di piazzetta Pascoli. 
Puntuale all’appuntamento con Marino Sinibaldi che lo ha incontrato nell’ambito di Farenheit, in diretta dalla Casa Cava, Bray ha parlato a 360 gradi. 
Come non affrontare subito il tema delle candidature a capitale europea della cultura. Figura super partes, non può esprimere preferenze ma le opinioni, quelle sì. 
«Ci rifletto dai primissimi giorni – spiega – trovo che ci sia una grandissima consapevolezza, diffusa nei cittadini verso la cultura, della tutela del paesaggio; c’è una forte richiesta di cambiamento e lo dimostrano i ragazzi e le ragazze, moltissimi, che fanno cultura in modo poco riconosciuta. D’altra parte c’è poca conoscenza dei ceti dirigenti. In questa bellissima sfida – aggiunge – si rappresenta questa parte dell’Italia che vuol dimostrare che c’è il riconoscimento del passato, l’idea di un futuro differente, la richiesta forte di essere ascoltati. Ci sono troppi anni di politica che hanno trascurato questi temi». 
Lontani dai clichè istituzionali, Bray salentino schietto ma mai irrispettoso, prende a prestito la domanda di Marino Sinibaldi sulla recente nomina dei 4 senatori a vita, prevalentemente espressioni di cultura e scienza e ammette: «Spesso mi sento  come fossi in un frullatore – e racconta – e che ci  sono molte aspettative. Sono stato considerato uno abbastanza ignoto. Invece improvvisamente, anche grazie all’uso dei social, mi sono reso conto che in molti hanno bisogno di far sapere ciò che fanno. La gente ha bisogno che si ascolti un Paese diverso; ci sono manifestazioni che mi hanno colpito».
La crisi economica  in atto non può non avere risvolti nell’attività quotidiana di un ministro, nei suoi incontri sul territorio. 
Bray lo racconta ricordando le parole di una bambina che a Genova gli ha detto che insieme ai suoi genitori, dipendenti di una fondazione musicale che rischiava di essere cancellata, sarebbe stata costretta ad andare a vivere all’estero.  Tocchi così con mano il fatto che la politica è stata sorda su quello che accadeva in Italia». 
C’è ancora  da fare e Bray lo ammette senza falsi pudori: «E’ un lungo percorso quello di cambiare le scelte e le politiche di questo Paese. Ho l’impressione che alcune forme di non valori sono entrate nei luoghi comuni. Parlo di una forma  di antropologia culturale». Sulla diatriba che riguarda l’intervento dei privati nel settore culturale, Bray aggiunge: «Il mio tormentone estivo è stato: perchè il ministro non favorisce l’entrata dei privati, visto che i beni culturali sono il petrolio del  Paese? Credo che, invece, rappresenti una modello di crescita  che non ha funzionato». Matera, città a metà strada fra i sospetti appetiti dei palazzinari e il rispetto del suo suggestivo passato? Il ministro Bray affronta il tema delle città,  come espressione di una cultura.«C’è uno sviluppo differente. L’idea che abbiamo costruito in questi anni non mi piace. Le città hanno segni differenti, così come Matera, di essere nella forma e nel rapporto attivo con i cittadini. Ci sono città invivibili dove chi sta in centro vive bene e chi sta in periferia ha una esistenza impossibile». 
La risposta della città dei Sassi non si fa attendere: Il cucù colorato e dal fischio allegro gli viene donato al termine dell’incontro. E Bray non può fare a meno di suonarlo. Giornata conclusa, nei Sassi  ha deciso che tornerà. 
«Ci vogliono almeno tre giorni per visitarla – ha confessato prima di andare via. 
a.ciervo@luedi.it

SE avesse ascoltato la madre, il ministro della cultura Massimo Bray oggi sarebbe già cittadino di Matera. Qualche anno fa, infatti, aveva visitato la città con lei e la donna era rimasta talmente affascinata da Matera da pensare all’acquisto di una casa. Non se ne fece più nulla ma quel fascino lo ha colpito di nuovo ieri,  tanto da farlo passeggiare come un turista in giro per musei, mostre e luoghi suggestivi.

 Il Palombaro è stato uno dei primi appuntamenti; la magia sotterranea del luogo che custodì l’acqua della popolazione lo ha accolto nel corso della visita svolta ieri mattina; poi (e questo su convinta segnalazione del vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico, ndr.)  nell’ex ospedale di San Rocco per visitare la mostra antologica delle maioliche di Giuseppe Mitarotonda. L’arrivo anticipato rispetto alla cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria a Francesco Rosi, a Palazzo Lanfranchi, gli aveva consentito di visitare le sale in cui sono custodite opere straordinarie accompagnato dalla Soprintendente Marta Ragozzino. Un viaggio nel tempo e nell’arte svolto lontano da fotografi e telecamere nel silenzio delle sale al primo piano dell’edificio storico di piazzetta Pascoli. 

Puntuale all’appuntamento con Marino Sinibaldi che lo ha incontrato nell’ambito di Farenheit, in diretta dalla Casa Cava, Bray ha parlato a 360 gradi. Come non affrontare subito il tema delle candidature a capitale europea della cultura. Figura super partes, non può esprimere preferenze ma le opinioni, quelle sì. «Ci rifletto dai primissimi giorni – spiega – trovo che ci sia una grandissima consapevolezza, diffusa nei cittadini verso la cultura, della tutela del paesaggio; c’è una forte richiesta di cambiamento e lo dimostrano i ragazzi e le ragazze, moltissimi, che fanno cultura in modo poco riconosciuta. D’altra parte c’è poca conoscenza dei ceti dirigenti. In questa bellissima sfida – aggiunge – si rappresenta questa parte dell’Italia che vuol dimostrare che c’è il riconoscimento del passato, l’idea di un futuro differente, la richiesta forte di essere ascoltati. Ci sono troppi anni di politica che hanno trascurato questi temi». 

Lontani dai clichè istituzionali, Bray salentino schietto ma mai irrispettoso, prende a prestito la domanda di Marino Sinibaldi sulla recente nomina dei 4 senatori a vita, prevalentemente espressioni di cultura e scienza e ammette: «Spesso mi sento  come fossi in un frullatore – e racconta – e che ci  sono molte aspettative. Sono stato considerato uno abbastanza ignoto. Invece improvvisamente, anche grazie all’uso dei social, mi sono reso conto che in molti hanno bisogno di far sapere ciò che fanno. La gente ha bisogno che si ascolti un Paese diverso; ci sono manifestazioni che mi hanno colpito».La crisi economica  in atto non può non avere risvolti nell’attività quotidiana di un ministro, nei suoi incontri sul territorio. Bray lo racconta ricordando le parole di una bambina che a Genova gli ha detto che insieme ai suoi genitori, dipendenti di una fondazione musicale che rischiava di essere cancellata, sarebbe stata costretta ad andare a vivere all’estero.  Tocchi così con mano il fatto che la politica è stata sorda su quello che accadeva in Italia». 

C’è ancora  da fare e Bray lo ammette senza falsi pudori: «E’ un lungo percorso quello di cambiare le scelte e le politiche di questo Paese. Ho l’impressione che alcune forme di non valori sono entrate nei luoghi comuni. Parlo di una forma  di antropologia culturale». Sulla diatriba che riguarda l’intervento dei privati nel settore culturale, Bray aggiunge: «Il mio tormentone estivo è stato: perchè il ministro non favorisce l’entrata dei privati, visto che i beni culturali sono il petrolio del  Paese? Credo che, invece, rappresenti una modello di crescita  che non ha funzionato». 

Matera, città a metà strada fra i sospetti appetiti dei palazzinari e il rispetto del suo suggestivo passato? Il ministro Bray affronta il tema delle città,  come espressione di una cultura.

«C’è uno sviluppo differente. L’idea che abbiamo costruito in questi anni non mi piace. Le città hanno segni differenti, così come Matera, di essere nella forma e nel rapporto attivo con i cittadini. Ci sono città invivibili dove chi sta in centro vive bene e chi sta in periferia ha una esistenza impossibile». La risposta della città dei Sassi non si fa attendere: Il cucù colorato e dal fischio allegro gli viene donato al termine dell’incontro. E Bray non può fare a meno di suonarlo. Giornata conclusa, nei Sassi  ha deciso che tornerà. «Ci vogliono almeno tre giorni per visitarla – ha confessato prima di andare via. 

 

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