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POTENZA – Per comunicare, il pm del caso Fenice e il capo dell’Arpab utilizzavano un amico in comune, socio del figlio del magistrato in una ditta che smaltiva proprio le ceneri dell’impianto sotto inchiesta. Poi il fascicolo da Melfi è finito a Potenza e il secondo è stato arrestato. Ma domani potrebbero reincontrarsi: l’uno come nuovo procuratore del capoluogo; e l’altro come principale imputato nel processo per il più grosso caso politico-ambientale lucano.
UNA SITUAZIONE IMBARAZZANTE
Troverà anche i faldoni sul disastro ambientale di San Nicola il pm Renato Arminio al suo arrivo nell’ufficio al quarto piano del Palazzo di giustizia di Potenza. Dopo la mancata proroga delle attività del “suo” tribunale, l’anziano sostituto ha ribadito a chi gli chiedeva cosa avrebbe fatto, che sabato mattina prenderà servizio nel capoluogo, dove ha intenzione di concludere la sua carriera a condizione – testuali parole – che non si «scocci» prima.
In quanto magistrato con più esperienza spetterebbe quindi a lui il ruolo di reggente nel posto lasciato libero dalla partenza per Napoli del procuratore Giovanni Colangelo. Ma il caso Fenice è destinato a creare più di qualche imbarazzo a riguardo, dal momento che a seguito del trasferimento a Matera del pm Salvatore Colella il fascicolo non risulta ancora assegnato.
L’INTRECCIO
Infatti, sarebbe proprio lui a dover decidere chi dovrà occuparsene di qui in avanti, gestendo l’accusa nel processo in corso davanti al gup Rosa Larocca che riprenderà il prossimo 1 ottobre per le conclusioni degli ultimi avvocati. Nonostante tra i capi d’imputazione per l’ex direttore generale dell’Arpab Vincenzo Sigillito, oltre al disastro ambientale e all’omissione di atti d’ufficio, ci sia l’accusa di aver rivelato all’amico imprenditore Donato Moscariello i quesiti della Procura di Melfi sulla contaminazione della falda sotto il termovalorizzatore. Nonostante lo stesso Moscariello, un imprenditore con amicizie davvero “bipartisan”, si occupasse tra le altre altre cose della raccolta dei rifiuti ad Atella, Rionero, Lavello, Melfi e Senise, tutti comuni clienti di Fenice. Ma soprattutto: nonostante Moscariello sia stato socio del figlio di Arminio e del fratello dell’ideatore del Piano provinciale rifiuti nella Ecology service di Atella, ditta che per un periodo ha smaltito anche le ceneri prodotte dall’impianto di San Nicola di Melfi. Nonché socio in una ditta menzionata persino nei bilanci della stessa Fenice-Edf a proposito dell’acquisto e della cessione di una misteriosa partecipazione, di cui però i registri della Camera di commercio dell’epoca non riportavano nulla.
Insomma un intreccio inestricabile di interessi, che avrebbe potuto suggerire a ognuno dei succitati di astenersi dal maneggiare la materia. Così però non è stato e da marzo del 2009, quando il Comune di Melfi ha disposto il divieto di prelievo delle acque sotterranee nella zona di San Nicola (svelando il suo reale inquinamento) è partita l’inchiesta “congiunta” della procura federiciana e del dg dell’Arpab. Il tutto mentre a Potenza i carabinieri del Reparto operativo e del Noe monitoravano l’ufficio e i telefoni di Sigillito inseguendo certi strani traffici nei dintorni degli uffici di via della Fisica.
LE INTERCETTAZIONI
Che cosa ne è venuto fuori è stato svelato soltanto in parte dopo gli arresti di Sigillito e dell’allora coordinatore provinciale dell’Arpab. Ma a distanza di quasi tre anni il Quotidiano della Basilicata è in grado di far luce per la prima volta anche sul resto, incluse le intercettazioni tra il magistrato, il direttore dell’Arpab e il loro comune amico imprenditore.
«Io sto a Melfi – racconta Sigillito al cellulare con Moscariello alle 13 e 20 del 17 aprile del 2009 – ti ho cercato per sapere se c’era… Mo infatti sto al Tribunale e dice che è già andato via». A chi si riferisce non lo spiega, così uno potrebbe pensare pure a un avvocato. Ma la risposta dell’impenditore non lascia molti dubbi. «Ho capito. E voglio chiamare il figlio?» «No… e se mi fai chiamare – gli replica Sigillito – così gli spiego telefonicamente almeno com’è la situazione». «Ho capito – lo tranquillizza allora il patron del consorzio Seari – io stasera sto insieme e quindi gli dico di chiamarvi (…) perché gli avevo detto che vi passavate stamattina (…) e mo non lo so lo voglio far rintracciare? Ditemi voi che devo fare (…) Allora vi faccio richiamare».
Se non fosse per tutte le sue aziende Moscariello sembrerebbe il segretario del magistrato. Ma non più tardi di cinque mesi dopo i ruoli si sarebbero invertiti. «Mi ha chiamato prima il dottor Arminio che voleva un fax». Così l’imprenditore il 24 settembre del 2009 al direttore generale dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, manco fosse di nuovo un segretario, ma stavolta di Sigillito. «Non so dice che vi doveva fare una richiesta… o vi do il numero che lo chiamate (…) perché mi chiedeva delle robe che però preferisco che parlate voi direttamente anche perché io non…»
Due controllori, di cui il magistrato in posizione preminente, e un controllato. Se non è questo un triangolo ad alto rischio, cosa di più?
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