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IN NORVEGIA, dopo otto anni di sinistra e una strage terribile, quella di Utoya, in mezzo al potere ci è andata la destra di Erna Solberg, che si porta dietro anche il partito del progresso dove Anders Breivik, l’assassino di Utoya, aveva militato.

Cosa sta succedendo nel grande Nord? C’è il petrolio che ancora detta le regole, ma in maniera nettamente diversa rispetto a quanto accade in Italia. Non è soltanto una vittoria politica della destra, ma una affermazione molto più decisiva in un paese ancora oggi ritenuto uno dei maggiori produttori di greggio. la questione non è tanto ideologica, non c’è poi una semparazione così netta in un paese dove il welfare è una condizione assolutamente imprescindibile. La destra in Norvegia ha vinto grazie al petrolio. C’è una differenza sostanziale tra la gestione del fondo sovrano, creato completamente grazie ai proventi del petrolio. L’idea della Norvegia è stata più lungimirante della sprecona e sciocca Italia. A parte il mega fondo petrolifero del valore di oltre 300 miliardi di euro che sostiene praticamente in toto l’intera economia c’è da tenere conto il complesso sistema di tassazioni dei pozzi che sono in parte di proprietà statale. Su questi pozzi in pratica si applica una tassazione speciale che rende tantissimo. Si incassa il 28% del ricavato sulle estrazioni, il 50% con una tassa speciale sul petrolio, una tassa sulle emissioni e anidride carbonica e una ulteriore sui gas serra. C’è poi la tassa sullo sviluppo della zona, sulla licenza petrolifera e l’interesse diretto allo Stato. Stiamo parlando praticamente di contromisure strategiche che vanno soprattutto verso il controllo quasi assoluto delle risorse da parte dello Stato.

Sì, siamo praticamente dall’altra parte del capitalismo, una storia che racconta di un’azienda petrolifera, la Statoil, che è in mano allo stato, di un fondo sovrano che è gestito da una banca statale e da un progetto su larga scala che ha imposto tassazioni fortissime e che ha obbligato le aziende a mettersi in regola anche con le nuove apparecchiature. Perché da quelle parti l’assioma fondamentale è: più inquini, più paghi (senza contare quanto invece si incassa per una semplice estrazione).

Il concetto di petrolio come bene pubblico funziona in maniera nettamente diversa rispetto ai proclami di guru energetici nostrani. ma c’è sempre un rovescio della medaglia. La grande vittoria della destra è dettata da questa contingenza: meglio spendere ora per incentivare il lavoro e aumentare l’occupazione oppure tenerseli stretti in caso di vera crisi? La Norvegia ha scelto la prima strada e ha optato per una spesa delle risorse nel breve periodo, visto che più del 20% del Prodotto interno lordo è praticamente derivato dal petrolio.  Ma non tutto luccica, sono anni che la produzione del petrolio sta diminuendo e questo mette a rischio anche una delle economie più solide al mondo, con il Pil oltre l’1,7%. Il punto è che la destra non avrebbe problemi a mettere le mani sui giacimenti in alto mare attorno l’arcipelago delle isole Lofoten, roba da 3 miliardi di barili.

Per ora quello spazio di incredibile bellezza non è stato minimamente toccato, grazie anche alla pressione degli ambientalisti, ma adesso la Norvegia dovrà interrogarsi anche su questo e la strategia della destra è stata chiara durante la campagna elettorale. Bisognerà valutare anche la possibilità di piazzare piattaforme petrolifere in quelle zone. La cosa, ovviamente, avrà un prezzo altissimo in termini ambientali, ma una sicurezza economica che potrebbe garantire la stabilità economica della nazione per decenni.

E la Basilicata, con il suo misero 7% di royalties introitate da aziende multinazionali private (esclusa l’Eni) sta praticamente facendo la parte della grande vittima in questo gioco economico ad altissimo potenziale. i sindaci chiedono un nuovo accordo, nuove percentuali sulle royalties, un nuovo sistema di monitoraggio tecnologicamente più avanzato, il controllo delle acque e deglis carichi. Tutte questioni antiche, ma mai veramente affrontate.

v.panettieri@luedi.it

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