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POTENZA – Per i medici legali che all’epoca si occuparono del caso, «in assenza di lesioni traumatiche e presenza di sostanze alcoliche e tossiche nel sangue», la morte del commissario Anna Esposito era «compatibile» con il suicidio. Ma a giugno gli inquirenti hanno riaperto le indagini ipotizzando che sia andata in maniera diversa e sotto esame, per prima cosa, sono finite proprio le loro conclusioni.
Si va verso una “controperizia” ufficiale sul giallo della caserma Zaccagnino di Potenza dove il 12 marzo del 2001 è stato rinvenuto il corpo senza vita del capo della Digos del capoluogo. Al centro ci sono i risultati degli esami effettuati dodici anni orsono da due dei più noti anatomopatologi sulla piazza: il direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università degli studi di Bari, Luigi Strada; e Rocco Maglietta, ex direttore della struttura complessa di Medicina Legaledell’Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, prestato da poco più di un anno come direttore generale della Azienda sanitaria di Matera.
La riapertura dell’indagine voluta dal pm potentino Sergio Marotta ha preso le mosse da una consulenza di parte commissionata dal padre del funzionario di polizia che solleva dubbi sulla possibilità che sua figlia si sia realmente suicidata. Alla base c’è lo studio di una serie di circostanze, oltre all’evidente “stranezza” di un gesto autolesionista di quel tipo. Anna Esposito infatti è stata ritrovata impiccata con una cinta alla maniglia della porta del bagno del suo appartamento. «Un’impiccagione atipica e incompleta», in gergo medico legale, in quanto la fibbia non sarebbe stata stretta sulla nuca, ma appena sotto l’orecchio destro, in più i colleghi della donna non avrebbero trovato il corpo sospeso a mezz’aria bensì «seduto sul pavimento», data l’esigua altezza della maniglia a cui era “appeso”.
Chiaro quindi che è su questo, prima di ogni altro aspetto collaterale, che gli inquirenti hanno deciso di provare a pronunciare una parola definitiva. Anche perché a differenza dei consulenti di Vincenzo Esposito quelli incaricati dalla Procura avrebbero libero accesso all’intero fascicolo sul giallo della caserma Zaccagnino.
A fare riemergere il caso dai sotterranei del Tribunale del capoluogo erano stati i sospetti di un collegamento con il mistero della “scomparsa” di Elisa Claps e del duplice omicidio Gianfredi, denunciati – ormai tre anni orsono – sempre dai familiari della 35enne, separata e madre di due bambine. Per questo motivo i faldoni erano partiti in direzione Salerno, sede un tempo competente per le inchieste che coinvolgevano anche magistrati in servizio nel distretto giudiziario lucano (si veda proprio Claps e Gianfredi), per poi tornare a Potenza a giugno dell’anno scorso, dopo che i pm campani ne avevano escluso la sussistenza.
A spiegarlo al Quotidiano della Basilicata era stato Franco Roberti in persona, procuratore capo di Salerno nominato a fine luglio ai vertici della direzione distrettuale antimafia. «Dalle indagini sulla morte del funzionario di polizia Anna Esposito dopo le prime verifiche non è emerso alcun collegamento con i delitti Claps e Gianfredi». Queste erano state le sue parole. «Tanto che, nel giugno scorso, il fascicolo è stato trasmesso alla Procura di Potenza per competenza territoriale».
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