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ROMA – «Evidentemente non si può stringere un ‘accordo’ con una struttura mafiosa, se non avendo piena consapevolezza della sua esistenza e del suo modus operandi. Tanto basta per ritenere che Matacena ben sapesse di aver favorito la cosca dei Rosmini (e tanto lo sapeva da aver preteso la esenzione dal ‘pizzo’)». Lo scrive la Cassazione in uno dei passaggi delle motivazioni – depositate il 14 agosto e relative all’udienza svoltasi lo scorso cinque giugno – con le quali spiega perchè ha confermato la condanna a cinque anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell’ex parlamentare calabrese Amedeo Matacena, eletto con Forza Italia nel 1994 e nel 2001 e irreperibile dallo scorso giugno. I carabinieri che erano andati a notificargli l’ordine di esecuzione della pena, dopo il verdetto definitivo emesso dalla Quinta sezione penale della Suprema Corte, non lo hanno infatti rintracciato – da allora – né a Roma, né a Reggio Calabria e nemmeno a Montecarlo dove l’ex deputato ha la residenza. La condanna di Matacena, difeso senza successo da Franco Coppi e dall’ex Guardasigilli Alfredo Biondi, più volte ministro e a lungo parlamentare liberale e nelle fila di Forza Italia, è stata emessa anche – sottolinea la Cassazione – per il «ritorno di immagine» che a favore dei Rosmini derivava dall’appoggio del deputato reggino appartenente a una famiglia di imprenditori. «E’ dunque lo stesso vertice della cosca – scrivono i supremi giudici nelle sentenza estesa dal consigliere Maurizio Fumo – che afferma che Matacena non può essere sottoposto a estorsione, che in passato lo stesso ha «sempre favorito» l’associazione, che, anche nel presente, Matacena è disponibile («a noi ci favorisce, ci aiuta se abbiamo bisogno»)».
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