X
<
>

Share
6 minuti per la lettura

«CORRI, corri capitano» hanno scritto sotto la foto. Perché tante volte hanno dovuto sgridarlo quando lo beccavano col pallone. Riza non poteva giocare a calcio, la malattia non glielo permetteva. Ha lottato un sacco, per dieci anni, poi qualche giorno fa se ne è andato via. «Corri, corri capitano di una squadra di angeli» dice il cartellone attaccato nel campetto di rione Lucania.
Due operazioni, a distanza di pochi giorni. Il cuore era nato male e lui lo sapeva, anche se era solo un bambino. Lo sapevano anche nel quartiere, a Chianchetta, dove viveva da sette anni con mamma Merita. Praticamente adottato dal rione che ha deciso di lasciare una traccia di questa storia triste e importante. 
A Riza Doko rione Lucania ha intitolato il campetto di calcio durante una cerimonia organizzata senza troppo clamore, con qualche manifestino attaccato sui lampioni, tra la farmacia e i palazzi. «Quanta gente». 
Chi non è di quella zona è rimasto colpito, lo ha scritto magari su Facebook, commentando le foto di quella adunata dolorosa, certo, ma spontanea. «A volte succede quello che non ti aspetti, e ti emozioni», racconta Orazio, presidente del comitato di quartiere, che a Chianchetta conosce le storie di tutto e di tutti. 
Aveva seguito Riza come tutti lì, negli anni passati. Madre e figlio erano arrivati in Italia, dall’Albania, grazie a uno di quei programmi sanitari per la cura di malattie particolari. Con don Peppino, il parroco del rione, e il dottor Ugo Vairo, specialista della cardiologia pediatrica era arrivato a Potenza per curare quel difetto al cuore con cui era nato e che si era portato via già il fratellino più piccolo. 
«Ci ha impiegato poco a farsi amare. E la cosa buffa è che lui si era impegnato tanto per farsi accettare, per integrarsi. Ma di sforzi non c’era bisogno». Zia Patrizia è distrutta, ma nel quartiere hanno deciso che di Riza si deve continuare a parlare con il sorriso. «Amava parecchio gli animali, anche se gli era proibito tenerli, per via della malattia», racconta. Ogni tanto lo sorprendevano distratto, «si isolava nei pensieri». Aveva sperato di diventare «un bambino come gli altri»: per questo si era fatto forza prima dell’intervento. 
Niente sforzi eccessivi, al massimo una tartarughina in casa, ogni tanto la bicicletta. «Accidenti come sfrecciava. Dovevo pure rimbrottarlo». Orazio accompagna tra i luoghi del quartiere con la naturalezza di sempre, fino al campetto dove il manifesto  innalzato per l’intitolazione svetta sulle teste dei ragazzini che giocano a pallone in questa estate. 
Su una delle pareti del campetto ora c’è una targa che ricorda il bambino adottato da Chianchetta. «Quando è partito per l’ospedale Bambino Gesù, per l’operazione, per diversi giorni nel quartiere tenevamo quasi un bollettino medico sulle sue condizioni». Sorride Orazio, col sorriso un po’ amaro, ma quello che dice è vero e racconta dell’attenzione e della premura coltivate senza troppi sforzi un angolo di questa città. 
«È così, nel dolore, è vero. Ma tutta la solidarietà dimostrata racconta di gente bella, di relazioni importanti, ancora solide, di un quartiere che ancora è quartiere». 
La parrocchia, i commercianti, le famiglie, il comitato, la scuola Leopardi che Riza frequentava. Tutti stretti, stipati nella chiesa di San Giuseppe per la messa d’addio e nel campetto per ricordare. Riza ora riposa in Albania, ma nel quartiere le sue tracce sono ovunque. 
«Appena possibile trasformeremo l’intitolazione in qualcosa di ufficiale», spiega Orazio. Ma quello è un problema di carte e burocrazie. Il campetto ormai già porta il suo nome. 
Sara Lorusso

«Corri, corri capitano» hanno scritto sotto la foto. Perché tante volte hanno dovuto sgridarlo quando lo beccavano col pallone. Riza non poteva giocare a calcio, la malattia non glielo permetteva. Ha lottato un sacco, per dieci anni, poi qualche giorno fa se ne è andato via. «Corri, corri capitano di una squadra di angeli» dice il cartellone attaccato nel campetto di rione Lucania.

Due operazioni, a distanza di pochi giorni. Il cuore era nato male e lui lo sapeva, anche se era solo un bambino. Lo sapevano anche nel quartiere, a Chianchetta, dove viveva da sette anni con mamma Merita. 

Praticamente adottato dal rione che ha deciso di lasciare una traccia di questa storia triste e importante. A Riza Doko rione Lucania ha intitolato il campetto di calcio durante una cerimonia organizzata senza troppo clamore, con qualche manifestino attaccato sui lampioni, tra la farmacia e i palazzi. «Quanta gente». 

Chi non è di quella zona è rimasto colpito, lo ha scritto magari su Facebook, commentando le foto di quella adunata dolorosa, certo, ma spontanea. «A volte succede quello che non ti aspetti, e ti emozioni», racconta Orazio, presidente del comitato di quartiere, che a Chianchetta conosce le storie di tutto e di tutti. Aveva seguito Riza come tutti lì, negli anni passati. Madre e figlio erano arrivati in Italia, dall’Albania, grazie a uno di quei programmi sanitari per la cura di malattie particolari. Con don Peppino, il parroco del rione, e il dottor Ugo Vairo, specialista della cardiologia pediatrica era arrivato a Potenza per curare quel difetto al cuore con cui era nato e che si era portato via già il fratellino più piccolo. 

«Ci ha impiegato poco a farsi amare. E la cosa buffa è che lui si era impegnato tanto per farsi accettare, per integrarsi. Ma di sforzi non c’era bisogno». Zia Patrizia è distrutta, ma nel quartiere hanno deciso che di Riza si deve continuare a parlare con il sorriso. «Amava parecchio gli animali, anche se gli era proibito tenerli, per via della malattia», racconta. Ogni tanto lo sorprendevano distratto, «si isolava nei pensieri». 

Aveva sperato di diventare «un bambino come gli altri»: per questo si era fatto forza prima dell’intervento. Niente sforzi eccessivi, al massimo una tartarughina in casa, ogni tanto la bicicletta. «Accidenti come sfrecciava. Dovevo pure rimbrottarlo». Orazio accompagna tra i luoghi del quartiere con la naturalezza di sempre, fino al campetto dove il manifesto  innalzato per l’intitolazione svetta sulle teste dei ragazzini che giocano a pallone in questa estate. Su una delle pareti del campetto ora c’è una targa che ricorda il bambino adottato da Chianchetta. 

«Quando è partito per l’ospedale Bambino Gesù, per l’operazione, per diversi giorni nel quartiere tenevamo quasi un bollettino medico sulle sue condizioni». Sorride Orazio, col sorriso un po’ amaro, ma quello che dice è vero e racconta dell’attenzione e della premura coltivate senza troppi sforzi un angolo di questa città. «È così, nel dolore, è vero. Ma tutta la solidarietà dimostrata racconta di gente bella, di relazioni importanti, ancora solide, di un quartiere che ancora è quartiere». 

La parrocchia, i commercianti, le famiglie, il comitato, la scuola Leopardi che Riza frequentava. Tutti stretti, stipati nella chiesa di San Giuseppe per la messa d’addio e nel campetto per ricordare. Riza ora riposa in Albania, ma nel quartiere le sue tracce sono ovunque. «Appena possibile trasformeremo l’intitolazione in qualcosa di ufficiale», spiega Orazio. Ma quello è un problema di carte e burocrazie. Il campetto ormai già porta il suo nome. 

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE