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Se prima stavo solo vagamente bene, di salute, ora posso confermare che sto ottimamente. Perché, se è vera quella legge del contrappasso contadino che vuole l’ortolano morto per la vita del suo orto, io posso confermare che ora il mio è completamente defunto. Prima una vacanza settimanale a vedere gli orti sul mare di Santa Maria di Leuca, poi il matrimonio di mio cugino Sandro, e infine l’arrivo dei “primi” (trad: cugini) argentini ha definitivamente seppellito un orto che già era agonizzante. Dunque, ora – io – dovrei godere di ottima salute (speriamo), ma il senso di colpa mi avvilisce.
In questa ultima settimana, però, grazie ai miei ospiti di lingua spagnola ho appreso che in quell’idioma che amo tanto l’orto è femmina: la huerta. Come dire: la orta! E non poteva essere diversamente; e così dovrebbe essere anche in italiano. Lo so: a sentirlo evoca elementi di anatomia (ma quella è la aorta), ma poco importa, il parallelo ci sta tutto: è la più grande e importante arteria umana, che parte dal cuore e trasporta il sangue ossigenato a tutte le parti del corpo… La orta è vita.
La orta è fertile, partorisce; sa dare il meglio di sé, ma solo a condizione di ricevere cure e attenzioni quotidiane. Non ammette violenza e si prende i suoi tempi e i suoi spazi. Se ha la luna storta può mandare tutto a puttane. Fa le cose quando e come dice lei. Sì, l’orto è proprio femmina. Per fortuna (e lo dico anche pagandone le conseguenze).
E se l’ho scoperto è grazie a Claudio, Claudia, Melania, Tamara e Giuliana…
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