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POTENZA – Cosa c’entra l’Iran con Rotondella? C’entra eccome. Se un convoglio lunedì scorso ha portato via il primo carico di uranio della «donazione Elk River» è per la paura degli americani che gli amici dei Guardiani della rivoluzione potessero metterci le mani sopra. In più a Casaccia e a Saluggia negli scorsi mesi si sarebbero presi – più o meno di nascosto – pure il “combustibile esausto”, come quello stoccato nella vasca dell’Itrec, che di qui al prossimo summit sulla sicurezza nucleare potrebbe fare la stessa fine.
Ci sono anche le scorie al centro dell’accordo sottoscritto a marzo del 2012 tra il presidente Obama e l’ex premier italiano Mario Monti. «La sicurezza del materiale nucleare e radioattivo in genere include anche il combustibile nucleare esausto e i rifiuti radioattivi». E’ il testo della dichiarazione concordata tra gli Stati invitati a Seul per discutere dei rischi della proliferazione dell’atomo. Motivo per cui oltreoceano si sono impegnati con Sogin, la società che gestisce la dismissione e la bonifica degli impianti nucleari italiani, in una lunga trattativa per stilare un elenco dei materiali presenti da affidare all’esercito a stelle e strisce.
Quello partito dall’Itrec di Rotondella lunedì mattina non è dunque il primo trasporto del genere effettuato dagli uomini della Sogin di concerto con le autorità americane, e nemmeno il solo di questa settimana, dato che in contemporanea dei convogli sono partiti da altri due impianti nucleari, per convergere in un unico punto di raccolta da dove è partito l’aereo che ha riportato a casa quel materiale. Una traversata di 7 ore, per restituire agli Stati Uniti uno dei segreti del Centro di ricerche lucano un tempo gestito dall’Enea, dove sono ancora custodite varie primizie dell’industria atomica, più o meno civile, che farebbero la felicità di terroristi, “stati canaglia” e psicopatici. Oltre a un lungo elenco di rifiuti veri e propri, e alla famosa “sezione Elk River”: 64 barre di torio e uranio immerse in una vasca a temperatura controllata, 20 disciolte in una soluzione acida dopo alcune operazioni di riprocessamento, e il “campione” voluto dagli americani prima di ogni altra cosa.
Stando a quanto accreditato da fonti ministeriali si tratterebbe infatti di una piccola quantità di uranio “fresco” prodotto dalla rigenerazione di combustibile “esausto” dello stesso tipo delle barre proprio con la tecnologia al centro dei programmi di ricerca dell’Itrec. Qualcosa che avrebbe dovuto guidare gli scienziati italiani, verso la realizzazione di un ciclo industriale per la produzione di energia a basso impatto ambientale.
Negli scorsi mesi aveva già suscitato molto clamore un trasporto simile effettuato da Saluggia a Trieste dove «una quantità modesta di combustibile nucleare irraggiato», che vuol dire spento, esausto, praticamente una scoria nucleare, «pari ad un peso di un chilogrammo e seicento» e con «un contenuto di radioattività limitato», era stata imbarcata su un cargo per gli Stati Uniti. Anche quello per la Sogin e i funzionari dell’Amministrazione nazionale per la sicurezza nucleare andava assicurato per prevenire il rischio che finisse nelle mani sbagliate. In quel caso però l’informazione alla popolazione c’era stata e sembra che il ritardo sulla spedizione provocato da alcuni picchetti organizzati lungo il percorso abbia suggerito di cambiare atteggiamento per l’avvenire.
Altre scorie, sempre «combustibile irraggiato» tipo quello custodito nella vasca dell’Itrec, sarebbe poi partito da Casaccia, vicino Roma, dove ha sede il più grande centro di ricerca dell’Enea. Ma di questo viaggio a differenza che del primo non si è saputo nulla. Come di altri partiti da altri siti e degli stessi avvenuti in contemporanea a quello dalla Trisaia all’aeroporto di Gioia del Colle (un convoglio si sarebbe mosso proprio da Saluggia). Anche a Rotondella doveva andare così, e malgrado i riflettori che si sono accesi sul “caso” non è escluso che di qui in avanti qualcuno non ci riprovi.
l.amato@luedi.it
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