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HA SCRITTO alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Una lettera circostanziata in cui Vincenzo Vitale chiede i danni allo Stato italiano.  Nella missiva spiega tutte le fasi che hanno portato alla costruzione del complesso turistico denominato “Marinagri”.

 Un progetto che aveva suscitato «vari apprezzamenti, anche a livello internazionale, per l’originalità dei contenuti e per le innovative  misure di salvaguardia eco-ambientale tant’é che dopo appena un anno dall’avvio della campagna vendite erano stati già prenotati 220 alloggi (per un corrispettivo complessivo di circa 27 ml. di euro) la cui consegna era prevista tra la fine del mese di giugno 2007 e giugno 2008».

Tutto sembra andare per il meglio fino al fatidico 27 febbraio del 2007 giorno del sequestro disposto con decreto del 17.02.07 dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, nella persona di Luigi De Magistris.

«Il sequestro – spiega nella lettera – veniva  confermato dal Gip di Catanzaro con provvedimento del 03.03.2007. Il Tri­bunale del Riesame di Catanzaro, tuttavia, con provvedimento del 20.03.2007, lo annullava ritenendo insussistenti le fattispecie criminose in base alle quali esso era stato disposto.

La Suprema Corte di Cassazione, a sua volta, con sentenza del 26.09.2007 confermava il provvedimento del Tribunale del Riesame, respingendo il ricorso avverso di esso proposto dal pm. Il forzato stop dei cantieri, avendo comportato il blocco totale dei lavori e la sospensione dei contratti d’appalto con le imprese interessate alla loro esecuzione nonché delle procedure amministrative ad essi afferenti, impediva che gli stessi lavori potessero riprendersi contestualmente al dissequestro.

A tal fine, fu necessario riorganizzare l’attività di costruzione sia con le impre­se appaltatrici che con i fornitori, sia con i vari Enti amministrativi preposti al rilascio dei vari permessi ed autorizzazioni. I tempi di ultimazione delle opere subirono pertanto un ineludibile slittamento, certamente non limitato alla sola durata di permanenza del provvedimento cautelare, poi dichiarato illegittimo».

 Dopo la ripresa dei lavori il complesso fu nuovamente sequestrato il 17 aprile 2008. «Purtroppo, – continua – pur palesando gli indagati (lo stesso ricorrente, il progettista ed alcuni amministratori pubblici) la loro innocenza e la inesistenza di fatti criminosi addebitati, sia il ricorso avverso il provvedimento di convalida innanzi al Tribunale del Riesame che quello in Cassazione avverso l’esito negativo del Riesame venivano rigettati, come pure venivano rigettate le successive istanze di revoca del provvedimento cautelare, pure avanzate dal deducente».

Nel frattempo De Magistris viene sostituito da Vincenzo Capomolla che nella richiesta di rinvio a giudizio «escludeva la configurabilità di numerosissimi reati inizialmente contestati nel provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza» «rimanevano in piedi solo: le presunte irregolarità nella procedura di accesso alla programmazione negoziata (Contratto di Programma) per la realizzazio­ne del Porto turistico e dell’Hotel; la presunta illegittimità dei titoli edi­lizi (permessi di costruire e Dia) rilasciati prima che la società Marinagri ottemperasse alla prescrizione presuntivamente imposta dall’Autorità di Bacino di innalzamento di un ulteriore metro degli argini esistenti». Si arriva così all’undici dicembre 2009 quando, nell’ambito del rito abbreviato «tutti gli imputati venivano assolti dai reati loro ascritti “perché i fatti non sussistono».

«Tale formula terminativa – fa notare Vitale – indica che il giudice di merito ha accertato l’irrilevanza penale dei fatti ritenuti illeciti dall’inquirente e per i quali era stata formulata l’imputazione e mantenuto in essere il sequestro preventivo, disposto sulla scorta del mero fumus dei reati ipotizzati, esclusi invece dal Gup nella loro reale esistenza. Solo con la sentenza di assoluzione, dopo circa 20 mesi dal secondo sequestro, é stato finalmente disposto il dissequestro di tutti i beni e dei conti correnti delle società ricorrenti».

La sentenza di primo grado – giova ricordarlo – é stata appellata dal pm, ma la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 21 giugno 2012 ha confermato l’assoluzione. Anche la sentenza di assoluzione é stata impugnata, ma lo stesso pm con atto depositato in cancelleria il 18.12.2012 ha rinunziato al ricorso in cassazione per cui solo a seguito di tale rinunzia la pronuncia di assoluzione è divenuta definitiva.

 «La notizia del sequestro e dei reati contestati hanno avuto ampia eco a livello nazionale e locale in quanto  ripresa ed amplificata da tutte le testate giornalistiche e dai notiziari televisivi. Con inusitata ridondanza é stata  stigmatizzata dai mass-media l’ipotizzata esistenza di una cupola affaristico-istituzionale operante in totale dispregio della legalità.

La reputazione commerciale e personale dell’esponente e delle società da lui rappresentate é stata distrutta mentre per far fronte agli obblighi assunti  nei confronti delle imprese esecutrici dei lavori e dei clienti che avevano prenotato l’acquisto degli alloggi, le società ricorrenti hanno dovuto attingere a finanziamenti bancari, sopportandone gli onerosissimi oneri, oltre che risarcire i creditori dei danni dagli stessi patiti per il tardato pagamento delle forniture eseguite».  «Le opere che, all’atto del sequestro, erano parzialmente costruite, sono rimaste esposte alle intemperie per circa 20 mesi» e «per oltre venti mesi la parte ricorrente non ha potuto dunque disporre della proprietà dei suoi beni sebbene all’esito del procedimento penale avviato a suo carico siano stati ritenuti totalmente insussistenti i fatti criminosi addebitati a suo carico».

«Purtroppo, – continua Vitale – in tema di danni provocati dall’attività giudiziaria, l’ordinamento vigente in Italia non prevede alcun indennizzo nell’ipotesi di una imputazione ingiusta, cioè per un’imputazione rivelatasi poi infondata a seguito di sentenza di assoluzione.

 Pertanto, non ha diritto al risarcimento del danno chi è stato ingiustamente imputato di qualche reato, anche se le accuse, dalle quali poi viene assolto, hanno finito col compromettere la sua reputazione economica e commerciale oltre che l’attività economica dal medesimo esercitata».

Si arriva così alla richiesta da parte dell’imprenditore lucano.

«Si chiede che la Corte adita accerti la violazione delle richiamate norme convenzionali e relativi protocolli da parte del Governo Italiano e lo condanni al risarcimento in favore di parte ricorrente di tutti i danni patrimoniali e morali subiti nella misura che si fa riserva di quantificare più precisamente nel corso della presente procedura.

Il ricorrente dichiara infine di non aver  sottoposto il suo caso ad alcun altra autorità internazionale e si riserva di produrre tutta la documentazione utile ai fini della sua trattazione del presente giudizio. Il ricorrente chiede di poter far uso della sua propria lingua italiana in tutti i suoi scritti difensivi e nell’eventuale dibattimento davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché di avere gratuitamente la traduzione in lingua italiana della corrispondenza a lui inviata dal Segretariato della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e degli scritti difensivi del Governo italiano».

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