4 minuti per la lettura
MATERA – Mezzo secolo. E’ il tempo che corre tra lo spaventoso crollo che si portò via in un attimo il ponte in pietra di Vico Commercio (l’antico accesso da via delle Beccherie alle sottostanti via Lombardi e via Fiorentini) e oggi. Mezzo secolo potrebbe sembrare un lasso di tempo ragionevole per metter d’accordo tutti sulla realizzazione di una struttura che sostituisca, come si conviene, l’antico manufatto edilizio. Ma a Matera non è così. Vuoi perché, nel frattempo, la città ha avviato un delicato processo di riqualificazione del suo prezioso tessuto urbano che rende difficoltosa qualsiasi scelta di ammodernamento infrastrutturale. Vuoi perché, come da anni accade in Italia, le decisioni della politica seguono strade, nella migliore delle ipotesi, tortuose che raramente coincidono con il reale interesse di una comunità. Succede così che il ponte realizzato due anni fa in luogo di quello crollato (dopo che, nel 2008, tramite concorso, il Comune aveva individuato in quel progetto la migliore proposta di riqualificazione), scontenti praticamente tutti. Anche un profano, infatti, vede che la struttura in ferro realizzata sulla base del progetto dell’ingegnere (e si vede) Antonello Pagliuca, non asseconda la vocazione storica e naturale del contesto. Con il risultato che una parte del Sasso Barisano è rimasta per decenni senza collegamento con il centro urbano soprastante, e che quella zona si trasformasse in un poligono di esercitazione del vandalismo locale.
Di qui la decisione del Comune, d’accordo con la Soprintendenza ai Beni architettonici e paesaggistici della Basilicata, di aprire “provvisoriamente” alla città il ponte, ma di farlo dopo quelli che tutti, a cominciare dal sindaco, considerano indispensabili ritocchi a una struttura che, per dirla con degli eufemismi, “non si inserisce adeguatamente nel contesto ambientale e architettonico”. Ma in che modo? Ecco il punto. Per l’assessore ai Sassi, Ina Macaione, si tratta, innanzitutto, di correggere il “segno orizzontale” del ponte che stride con un paesaggio urbanistico che si sviluppa per linee verticali o oblique. E poi di “mitigare” gli effetti della struttura metallica realizzando una pavimentazione in chianche di pietra e facendo sparire la ringhiera nel fogliame di piante rigorosamente locali. Il tutto allo scopo di rendere al più presto fruibile (si conta di finire i lavori entro il mese di agosto) l’area sottostante che comprende tre ipogei: per il cui riutilizzo sarà emesso appena possibile un bando pubblico.
Tutto qua? No, perché – spiegano Adduce e la Macaione – la soluzione prospettata è assolutamente provvisoria. E allora? Che ne sarà del ponte? E a chi spetterà la decisione su cosa farne e come? Ed ecco la soluzione. Ad avere l’ultima parola sul destino della struttura e sulla sua eventuale distruzione per far spazio alla realizzazione di un nuovo progetto, sarà un pool di qualificatissimi esperti internazionali. Cinque, al massimo sei. Presto sarà pronto un dossier, spiega l’assessore, sull’area franata e sulle soluzioni architettoniche fin qui adottate (un dossier che costituirà un documento sulla memoria di un pezzo di città). Il dossier sarà trasmesso agli esperti affinché ne traggano le valutazioni che, poi, saranno sottoposte alla comunità materana. E soltanto alla fine di questo percorso si saprà se il ponte in ferro resterà (come provocatoriamente azzarda Adduce: “Le più grandi novità nascono spesso da errori madornali”) o si dovrà metter mano a un’opera del tutto nuova. Fatto sta che l’iter programmato da Macaione e Adduce dovrebbe giungere a conclusione tra sei mesi. “A fine agosto riconsegneremo questo spazio alla città e festeggeremo l’avvenimento con un grande happening all’aperto. Tra dicembre e gennaio organizzeremo, tra i Sassi, un incontro con gli esperti internazionali. Sarà un grande confronto pubblico in cui ognuno sarà invitato a dire la sua. Ma poi occorrerà decidere”.
Quanto al soprintendente Francesco Canestrini, rilevato che in sede di conferenza dei servizi furono sollevate, sul ponte, varie questioni attinenti all’inadeguatezza del progetto vincente, fa presente che Matera e i Sassi non sono ancora dotati di uno strumento adeguato per la salvaguardia del paesaggio, sia dal punto di vista monumentale che da quello ambientale. “E’ necessario varare al più presto – osserva – una norma che preveda vincoli paesaggistici per tutta la città di Matera, non solo per il centro storico. La stessa area de La Martella costituisce oramai una testimonianza storico-architettonica da tutelare”. “La mancanza di sensibilità su questi temi ci può costare cara – aggiunge -. L’Unesco potrebbe depennare Matera dall’elenco dei siti tutelati”. Canestrini ne approfitta per ricordare a tutti che esiste un’emergenza legata alla proliferazione di impianti eolici e che ha presentato un ricorso al Tar (così come il Comune) contro l’autorizzazione della Regione alla costruzione di pale vicino al Parco della Murgia.
a.grassi@luedi.it
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA