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Caro Gianluca,
mi piace l’idea di un manifesto della tenacia per inventare il quotidiano. La simmetrica direzione delle parole che porta al mio lavoro mi fa ritrovare in quello che scrivi la fibrosi delle mie occupazioni, raccolgo solo cellule, pezzi disorganici di malessere e insoddisfazioni e incubi. A iniziare dai miei, giornalista (???ma cosa significherà, ormai???) alla ricerca di un’identità perduta.Ma sono abituata, per mia fortuna, a dare valore alla semplicità e a trovare antidepressivi più che nel frenetico sforzo di costruzione futura, nella storicità ineluttabile delle cose che faccio io e che fanno gli altri.
C’è un divenire superiore al mio sforzo. Lo dico da laica. Hai ragione a scrivere che la solidarietà è il sintomo “trasgressivo” di una comunità che si sfalda e disorienta nelle complesse dinamiche dell’individualismo. Non mi spavento dell’individualismo, per certi aspetti lo teorizzo da sempre. Mancano, come dici tu, le connessioni tra gli individui, il plasma che levighi le cellule. Lo scrivevo l’altro giorno. Cosa ci rende reciproci? In altre parole quali sono le regole? Perchè è tutto qui il dilemma, nella politica che voi fate (ho scoperto che sei del Pd, perdonami, so ancora molto poco di questa regione e per me è un vantaggio), nell’informazione che noi offriamo, negli indirizzi di costruzione minima che una comunità dovrebbe avere. La nostra scuola è arretrata, i nostri laureati cercano scorciatoie, la cultura e la conoscenza è – come tu scrivi – tutto ciò che luccica.
E soprattutto le risorse scarseggiano. Scarseggiano le risorse materiali, si buttano quelle immateriali. Domenica scorsa pensavo alla mia professione seduta su uno scoglio, era zeppo di cozze. Non ci voleva neppure un coltellino, bastava uno strappo e voilà, te le potevi portare nella pentola. Gratis. Ma io avrei avuto voglia di uno spaghetto con le vongole, perchè non mi accontento. Le vongole, quelle veraci, non le trovi facilmente, perchè stanno sotto, nella sabbia. Bisogna scavare, fare fatica, quasi sempre pagarle, o essere disposti a pagarle.
Se tu dovessi scegliere cosa essere, nell’ecosistema marino, cosa sceglieresti? Voglio dire che la dispersione delle nostre sicurezze e delle nostre identità nel mare diffuso delle pseudo competenze (politiche in senso lato) che portano disconnessione, è a mio avviso “febbre di sistema”, né bene né male. C’è un sacco di roba che emerge, ma c’è molto anche di autentico ancora da scoprire. E’ per questo che non sono spaventata. Non mi arrendo alla fine del mondo. Naturalmente noi possiamo essere inghiottiti dalla nostra contemporaneità, possiamo morire di Spagnola, ma l’antitodo poi si trova. Sono un’inguaribile ottimista. E’ per questo che reclamo l’impossibile.
La mia amica Anna r.g. Rivelli non ha più voce per indignarsi. La capisco. E oggi Navazio lamenta che il rispetto dell’altro non dovrebbe portare a dire no, a priori, alle cose buone che fanno gli altri. Ognuno di noi, nelle nostre solitudini, cerca ponti. Così l’individuo, così le comunità. Unire gli sforzi? Si uniranno da soli, se non diciamo sempre no. E se abbiamo il coraggio di essere leali. Dobbiamo avere fede, nel senso sanscrito di foedus, dobbiamo fare federazione, dobbiamo comprometterci. In questo la nostra maturità. Ci sono offerte di ogni tipo, dici tu. E’ vero. Molte cose sono false. Opache. Ingannevoli. Dobbiamo mettere in mostra le nostre semplici autenticità. Riduciamo, diminuiamo, resettiamo. E guardiamo le cose anche da una prospettiva positiva. Questa è la prima estate senza bollino nero. C’è la crisi? Sicuro, ma è anche vero che non ci spostiamo più tutti insieme negli stessi giorni. E infine apriamoci.
Se oggi dovessi dire da dove farei ripartire la Basilicata, suggerirei proprio questo: spogliamoci dei nostri moralismi, delle nostre cautele, della nostra apparente castità. Chi è veramente casto, a mio avviso, non ha problemi a farsi vedere nudo.
l.serino@luedi.it
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