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POTENZA – Ce n’era uno «che premeva per l’altra (…) invece è stato messo a tacere». S’intende «chi li proteggeva». E «poteva dare un po’ fastidio a tutti quanti» per la gara. Mica politici. Come pensavano all’inizio Balsebre e il suo socio pugliese. Piuttosto uomini d’onore. Del “locale” di ‘ndrangheta di Cetraro. Gli stessi con cui l’imprenditore si sarebbe accordato per una mazzetta da 500mila euro in cambio dell’appalto rifiuti del Comune di Scalea, strappando pure uno sconto di 100mila sulla cifra di partenza.
E’ agli arresti domiciliari da ieri mattina su disposizione del gip di Catanzaro Gabriella Reillo, Nicola Franco Balsebre architetto, imprenditore ed ex consigliere comunale dell’Ulivo di Montescaglioso. Per lui l’accusa è di corruzione e turbativa d’asta con l’aggravante di aver agevolato gli affari del clan del “re del pesce” Franco Muto e della ‘ndrina guidata dal boss Pietro Valente.
Al centro della vicenda ricostruita nelle oltre 500 pagine dell’ordinanza di misure cautelari c’è l’appalto per la gestione quinquennale della raccolta dei rifiuti e la pulizia delle strade del piccolo comune sul Tirreno. Un affare da 12 milioni di euro.
Balsebre e i suoi soci pugliesi lo avrebbero preso di mira grazie al contatto con uno degli uomini di Pietro Valente, considerato dagli investigatori il boss più influente nell’area, capace di avvalersi anche di insospettabili per intrecciare i suoi affari. Tra questi in particolare un avvocato Mario Nocito che all’occorenza ospitava nel suo studio le riunioni tra imprenditori come Balsebre, politici come il sindaco Pasquale Basile e uomini d’onore come Valente. Tutto nei nastri con le registrazioni delle microspie piazzate sotto le sue scrivanie. O nelle intercettazioni delle telefonate in cui prendevano appuntamento per incontrarsi. Fuori città non era il caso, per un personaggio “in vista” come poteva essere il boss. «Ed io vengo con quello ad Atena!? Non avevate l’appuntamento qua. Ma è meglio che venite qua ohi… Nico’! Tanto che ci vuole che scendete qua». Così si rivolgeva all’imprenditore di Montescaglioso l’intermediario che teneva i rapporti tra lui e il boss durante la trattativa per decidere l’ammontare della mazzetta che avrebbe dovuto pagare per aggiudicarsi il lavoro. Oltre alle assunzioni degli amici e alle promozioni di chi come il fratello di Valente, lavorava già per la ditta che aveva in gestione l’appalto prima.
«Senti oh! Vedi che questo non lo fa, perché sennò… ci facciamo una figura di merda noi… nooo! aspetta! moh non… volevo dire una cosa mica… a dire… è chiaro, visto che… eee… un poco… fagli un poco di sconto!… Non so… perché sennò. Non gli posso dire a quello “guarda che… ho… ” che cazzo! Facciamo una figura di merda io e te. Eeeh…» Questo il forcing dell’avvocato prima dell’incontro in cui sarebbe stato battezzato l’accordo per quel mezzo milione di euro da “girare” in parte agli amministratori e in parte alla ‘ndrangheta.
Affare fatto e gara aggiudicata all’Ati Avvenire-Balsebre grazie a una serie di operazioni sulle buste con le offerte tecniche ed economiche presentate. E la compiacenza di sistemare le cose anche quando è venuto fuori che la ditta di Balsebre aveva un debito con l’erario non dichiarato. Poi sono cominciati i problemi.
Arrestato Valente per scontare un residuo di pena a un anno e poco più per armi, si sarebbero “fatti sotto” quelli di un’altra “famiglia”, sempre di Scalea e sempre appartenente del locale di Cetraro, con le stesse pretese del primo e una maggiorazione. Difficile anche far quadrare i conti una volta iniziati i lavori con un numero spropositato di dipendenti. Così nel giro di un anno l’imprenditore di Montescaglioso e i suoi soci si sarebbero tirati indietro. Mentre l’avvocato e l’intermediario sono rimasti ad aspettare che il loro uomo uscisse dal carcere per rimettere le cose in carreggiata stoppando le ambizioni dei rivali. E la mazzetta?
A quanto pare chi ha ereditato l’appalto sarebbe stato informato degli “obblighi” pendenti sullo stesso. Una specie di accessorio insomma.
l.amato@luedi.it
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