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ROMA, 8 LUG – Scatta la condanna penale, per disturbo alla quiete delle persone nelle loro abitazioni, nei confronti di chi installa condizionatori rumorosi in casa sua o nel luogo dove svolge la sua attività, anche nel caso in cui dei rumori si lamenti solo uno dei nuclei familiari residenti nel condominio. Lo ha deciso la Cassazione che ha convalidato 200 euro di multa a carico del gestore di un centro commerciale di Cosenza che aveva messo dei condizionatori le cui emissioni si sentivano fino al quarto piano del condominio soprastante. 
L’imprenditore, Desiderio N. (53 anni), dovrà anche risarcire i danni morali patiti dalla coppia del quarto piano che lo aveva denunciato e aveva chiamato anche un tecnico dell’Arpa a misurare i decibel molesti. Marito e moglie avevano fatto presente che “rumori non sopportabili erano percepiti negli appartamenti anche a finestre chiuse”, e l’esperto dell’agenzia regionale per la protezione ambientale aveva “effettuato una rilevazione nell’appartamento del quarto piano riscontrando il valore di 56 decibel”. Senza successo l’imputato ha sostenuto che “per giurisprudenza consolidata, il reato era integrato solo da una rumorosità idonea ad arrecare disturbo ad una pluralità di persone e non ai soli vicini: nel caso concreto questo non era stato accertato, e dunque veniva a mancare un elemento essenziale della fattispecie penale”. Ma la Suprema Corte gli ha risposto che per la “la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori” basta “l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicchè i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare”. 
Con questa decisione – sentenza 28874 della Prima sezione penale – la Cassazione ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Cosenza il due maggio 2012 con la quale l’ammenda era stata inflitta con la sospensione della pena e la non menzione della condanna con la concessione delle attenuanti generiche. La causa civile liquiderà i danni. Desiderio N. deve anche pagare le spese legali sostenute dai querelanti e versare mille euro alla Cassa delle ammende.

SCATTA la condanna penale, per disturbo alla quiete delle persone nelle loro abitazioni, nei confronti di chi installa condizionatori rumorosi in casa sua o nel luogo dove svolge la sua attività, anche nel caso in cui dei rumori si lamenti solo uno dei nuclei familiari residenti nel condominio. Lo ha deciso la Cassazione che ha convalidato 200 euro di multa a carico del gestore di un centro commerciale di Cosenza che aveva messo dei condizionatori le cui emissioni si sentivano fino al quarto piano del condominio soprastante. 

L’imprenditore, Desiderio N. (53 anni), dovrà anche risarcire i danni morali patiti dalla coppia del quarto piano che lo aveva denunciato e aveva chiamato anche un tecnico dell’Arpa a misurare i decibel molesti. Marito e moglie avevano fatto presente che “rumori non sopportabili erano percepiti negli appartamenti anche a finestre chiuse”, e l’esperto dell’agenzia regionale per la protezione ambientale aveva “effettuato una rilevazione nell’appartamento del quarto piano riscontrando il valore di 56 decibel”. Senza successo l’imputato ha sostenuto che “per giurisprudenza consolidata, il reato era integrato solo da una rumorosità idonea ad arrecare disturbo ad una pluralità di persone e non ai soli vicini: nel caso concreto questo non era stato accertato, e dunque veniva a mancare un elemento essenziale della fattispecie penale”. Ma la Suprema Corte gli ha risposto che per la “la rilevanza penale della condotta produttiva di rumori” basta “l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicchè i rumori devono avere una tale diffusività che l’evento di disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare”. 

Con questa decisione – sentenza 28874 della Prima sezione penale – la Cassazione ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Cosenza il due maggio 2012 con la quale l’ammenda era stata inflitta con la sospensione della pena e la non menzione della condanna con la concessione delle attenuanti generiche. La causa civile liquiderà i danni. Desiderio N. deve anche pagare le spese legali sostenute dai querelanti e versare mille euro alla Cassa delle ammende.

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