X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

POTENZA – Portare le nuove “royalties” anche dove hanno sede le «terminazioni industriali» della filiera del petrolio. L’ultimo ostacolo nel negoziato per l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri sarebbe un braccio di ferro in corso proprio su questo tema.

E’ la distribuzione territoriale della quota delle maggiori entrate fiscali previste dalle prossime intese la questione più scottante sui tavoli del Ministero dello sviluppo economico. Si intendono gli stessi dove da un anno e mezzo si rimpallano le bozze del regolamento attuativo dell’articolo 16 dell’ex dl “liberalizzazioni”. Una paralisi che ha finito per espropriare il governo del pallino della trattativa ripresa dai comuni lucani interessati dagli impianti di Eni e Shell. Tanto che soltanto la scorsa settimana è arrivato l’accordo di massima con la compagnia del cane a sei zampe e il suo socio anglo olandese per la destinazione alle amministrazioni di quasi 45mila metri cubi di gas naturale al giorno da destinare come meglio crederanno. Ma a una condizione. Ossia che la produzione passi dagli attuali 104mila barili al giorno ai 129mila previsti. Poco più di un patto tra gentiluomini, messa sul valore legale dell’accordo appena raggiunto. Eppure un segnale politico inequivocabile della voglia di autogestione dei sindaci dell’enclave petrolifera stretti tra le esigenze di bilancio e le annose questioni ambientali.

Riusciranno i primi cittadini ad affermare la loro “piattaforma” nella capitale? Resta da vedere, anche se l’interesse mostrato dalla Regione e i segnali inequivocabili di ottimismo arrivati da via Verrastro come dai palazzi più importanti della capitale lasciano credere di sì. A scapito di chi come l’assessore all’ambiente di Pisticci solo la scorsa settimana diceva al Quotidiano che la «ricchezza generata dalle risorse del sottosuolo dovrebbe essere distribuita tra tutti i comuni lucani».  Queste le parole di Lino Grieco il giorno della firma di una convenzione per il monitoraggio delle matrici ambientali sul modello di quella già avviata dal Campus biomedico di Roma e dal comune di Viggiano, capoluogo del greggio lucano, che ospita la maggioranza dei pozzi attivi e il centro oli, l’infrastruttura fondamentale della concessione per la coltivazioni di idrocarburi in Val d’Agri.

A Pisticci c’è un altro centro oli dell’Eni ma ogni giorno lavora meno di 300 barili al giorno, perciò niente a che vedere con gli 86mila di Viggiano. Eppure è proprio lì, tra i campi squarciati dai calanchi, che le autocisterne trasportano a ritmo continuato l’acqua e i fanghi di scarto delle estrazioni effettuate nel paese della madonna nera e dintorni. «Siamo l’ultimo anello della filiera che parte dai pozzi valligiani». Insiste l’assessore col sostegno del sindaco Antonio Di Trani. Motivo per cui chiedono la loro parte di proventi del greggio come li si voglia chiamare, “royalties” o quote di partecipazione alle relative entrate fiscali, secondo il dettato dell’articolo 16 del dl “Sviluppa Italia” approvato un anno e mezzo fa dal governo Monti. «Non è una presunzione ma un atto a mio avviso dovuto». Queste le espressioni di Grieco evidenziate dal Quotidiano. «Ci vogliono risorse per garantire che attività importanti legate al petrolio come quelle che hanno sede nel nostro territorio vengano svolte in sicurezza». Se si pensa che a Viggiano nel 2012 la convenzione con l’ateneo romano è costata 100mila euro si capisce bene che cosa intenda.

Ma quelle del paese dai piedi d’argilla non sono le uniche rivendicazioni a cui si starebbe dando ascolto al ministero. Altro tema è infatti quello dei paesi attraversati dall’oleodotto che ai ritmi attuali trasporta ogni giorno trasporta 7 milioni di greggio nell’impianto di raffinazione Eni di Taranto. Nell’ordine: Viggiano, Grumento Nova, Montemurro, Corleto e Guardia Perticara, Gorgoglione, Aliano, Stigliano, Craco Montalbano Jonico, Pisticci, Bernalda, Ginosa, Castellaneta, Palagiano e Massafra. C’è chi sostiene per cominciare che vada considerata un’infrastruttura a rischio di incidente rilevante, e la fuoriuscita avvenuta l’anno scorso a Bernalda sembra dargli ragione, a maggior ragione se si è trattato davvero di un gesto doloso.

Poi della Città dei due mari, e dei corpi già piagati dai fumi tossici dell’Ilva. Nei mesi scorsi si è fatta sentire più volte l’opposizione degli ambientalisti e dell’amministrazione comunale ai programmi di sviluppo dell’impianto della compagnia del cane a sei zampe.

L’articolo 16 dell’ex dl “liberalizzazioni parla di «sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi e dei territori limitrofi». Escludere il sito della raffineria dove converge tutto il greggio estratto in Basilciata solo perché non lavora soltanto quello per qualcuno potrebbe sembrare una forzatura.

l.amato@luedi.it

 

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE