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POTENZA – L’hanno dimenticata il giorno in cui doveva confessarsi. «Tanto non parla», avrebbe detto il parroco del paese. Poi dovevano rimediare con la comunione, ma il suo nome tra quelli dei ragazzi invitati per il catechismo è scomparso. «Non sa la differenza tra il corpo di Cristo e il pane sulla tavola». Sarebbero state le parole del vescovo. Così i suoi genitori hanno spedito una lettera al Papa chiedendo una benedizione per la loro bambina.

E’ una storia di solitudine e incomprensione quella della piccola Roberta Del Monte di San Fele, di suo padre Donato, onesto lavoratore, e della madre Mirella, una donna forte che ha deciso di tentarle tutte per farle avere una vita dignitosa. La solitudine è quella di una famiglia alle prese con una malattia genetica rara: l’omocistinuria che ha lasciato in Roberta danni psicomotori irreversibili intaccandole il linguaggio. Lei ora frequenta l’asilo e da qualche anno cammina ma non molto bene e ha bisogno di assistenza anche per le operazioni più semplici. Poi c’è l’incomprensione. Quella di chi sta negli uffici dell’amministrazione e non capisce certe esigenze, e di chi indossa la tunica ma non riesce a calarsi nei panni di Roberta, Donato, Mirella e della sua sorella maggiore.

«Mia figlia Roberta con il grave handicap che non ha mai frequentato il catechismo, e la chiesa soltanto per il suo battesimo. Anchè perché spesso sono stata ripresa dalle suore che mi dicevano di portarla fuori dato che dava fastidio. Pure quando sua sorella si è cresimata io e la piccolina siamo rimaste fuori per non creare problemi». Così racconta Mirella, riassumendo il contenuto della lettera indirizzata al Santo Padre non più tardi di qualche giorno fa, in cui spiega che l’anno scorso aveva espresso il desiderio al parroco di San Fele Don Francesco Consiglio di iniziarla ai sacramenti. «La frequenza del catechismo non è mai stato un problema per lui. Gli ho chiesto se era obbligatoria perché Roberta a volte è un po’ rumorosa e lui mi ha detto di stare tranquilla e portarla pure per un paio d’ore quando facevano qualche festicciola. Ma il giorno stabilito per la prima confessione è andato da mio marito per scusarsi di essersi dimenticato della bambina. Ha provato ad abbozzare dicendo “che tanto non parla”, e che quest’anno avrebbe potuto fare la confessione assieme alla comunione. A ottobre però, qualche giorno prima che venissero stampati gli inviti per i bambini che dovevano prepararsi alla comunione, sono andata da una mia amica, una catechista, e mi ha detto che un’altra catechista si era opposta alla cosa. Ma Don Francesco invece di prendersela con questa, ha accusato la mia amica di aver rivelato cose che dovevano restare nella canonica, tant’è che lei non c’è più voluta andare. Io ho chiesto un chiarimento su quello che era avvenuto con l’altra ma lui ha insistito dicendomi che si fidava ciecamente, che l’avrebbe lasciata al suo posto e che potevo far fare la comunione a Roberta in un’altra classe oppure a lei soltanto, dopo che tutti gli altri bambini l’avevano già fatta, il 19 maggio scorso. Ma a me questa soluzione non mi è andata bene, perché mia figlia merita lo stesso rispetto che ha qualsiasi altro bambino, invece è stata discriminata solo perché è handicappata. Ed è così che la chiamano qui a San Fele la mia Roberta. Pure il vescovo della diocesi di Melfi, Rapolla e Venosa monsignor Gianfranco Todisco non ha preso provvedimenti e l’ultima volta che l’ho incontrato mi ha detto che non avevamo nessun diritto perchè Roberta non poteva capire il significato della comunione».

Mirella si è sentita abbandonata anche dai genitori degli altri bambini che facevano la comunione il 19 maggio, e racconta con amarezza di essersi sentita dire da alcune suore che alla fine la figlia non aveva bisogno dei sacramenti perché era già “figlia di Dio”. «Quando era appena nata e stava per morire mi hanno rimproverata perché non era ancora battezzata e rischiava di non andare in cielo. Allora non era figlia di Dio? A San Fele c’è un’altra bimba che è vero sì sta meglio di Roberta, ma anche lei non parla, e ha fatto la confessione lo stesso l’anno scorso e poi quest’anno la comunione. Lei ha preso un simbolo, come quello che chiedevo per Roberta. E poi quale altra bambina di dieci anni capisce davvero la differenza tra il pane e il corpo di Cristo?».

l.amato@luedi.it

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