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GLI ISTMI DELLA BASILICATA
di LUCIA SERINO
 
Occorrerebbero degli istmi, come gli istmi di Braudel. Uno sforzo intelletuale, dice il presidente del consiglio Santochirico alla Milanesiana, per mettere insieme “passato e futuro, memoria e tradizione”.Quello che Paolo Verri chiama “passato remoto”. E lui, il grande corifeo di matera2019, l’altro giorno, discutendo con molti giornalisti nei Sassi, diceva che in inglese suona ancora meglio, the ancient future. Perchè è tutto il mondo che deve capire chi siamo e cosa abbiamo. Santochirico ha il vantaggio di respirare l’aria di Matera. La città è il grande vantaggio che la Basilicata ha in questo momento (c’è dell’altro, non dimentichiamolo, il petrolio, per esempio. Agli stessi giornalisti ai quali parlava Verri il presidente degli industriali Somma ha dovuto faticare non poco per spiegare che è roba che non conviene buttare).
Attraversando i giorni della Bruna, mi sono chiesta se sarà mai possibile quello sforzo identitario di convergenza tra i luoghi di questa regione. E se basta una volontà di governo (ammesso che ci sia) per sostenerlo e promuoverlo. Me lo sono chiesto portandomi a casa un pezzo di cartapesta del carro, con lo stesso stupore con il quale indossai un sacco da contadina appena arrivata a Potenza partecipando alla festa dei turchi. Perchè si sfasciano i simboli per poi ricostruirli? Perchè cambiano, scriveva ieri Antonello Grassi, è il prezzo della modernità. Santochirico sostiene di avere l’impressione che la narrazione della Basilicata sia ferma a quella che ne ha dato un Torinese, Carlo Levi (ironia del destino anche Verri è un torinese). Dunque la Basilicata conosciuta per come l’hanno raccontata altri, e non luogo di elaborazione. Cita i nostri scrittori, cita Cappelli, Venezia, Nigro, le loro diversità. Ecco, appunto, le diversità. Il nodo cruciale a mio avviso è questo e dobbiamo chiederci se la Basilicata che vogliamo elaborare debba essere un mare nel quale si confondono i colori o se debba essere l’insieme di più mari, di più culture, l’una sull’altra, collegate da istmi. Io credo che i luoghi siano lì, con la loro storia che cambia ma non si espande. Potenza e Matera, per uscire di metafora, sono due luoghi che poco hanno in comune e che con molta improbabilità potranno essere l’una per l’altra. Tralasciamo le forme delle presenze (Adduce che non viene a Potenza, Santarsiero che ricambia con la stessa cortesia). Le città sono come le loro feste e la loro gente, fortemente identitarie, separate, divergenti, piene di ricordi e malinconie. Più che unirci dobbiamo mescolarci, contaminarci. Ma non più dentro la Basilicata, dobbiamo contaminarci con il resto del mondo. La Basilicata narrata dagli altri? Che arrivino narratori stranieri, che abbiano il sorriso e l’allegria di Bregovic o di lady Eastwood o dei graffitari underground che dalla Potenza sotterranea e sconosciutissima dialogano con tutto il pianeta. E che siano Cappelli e gli altri scrittori a portare fuori a loro volta questo pezzettino di terra che vorremmo vedere ardere di luci come i fuochi l’altra sera dietro le croci della Murgia. Mi ha conquistato quello che ha detto un signore che racconta storie che ha aperto il suo terrazzo per lo spettacolo notturno. Pensando ad alta voce mentre i pompieri spegnevano i focolai dei guizzi pirotecnici ha detto: sarebbe bello se adesso bruciasse tutta la Murgia. Sarebbe bello per tutti coloro che cercano luci nella notte, un sogno ardente di passioni che bruci le nostre miserie. Non sforziamoci più di unire le nostre città, è una missione impossibile e forse anche ingiusta. Ma apriamole, questo sì. Ed esportiamo. “Invia e ricevi”, mi suggerisce l’icona della mail. Se accogliamo, le città si espanderanno e costruiremo istmi naturali, senza accorgercene, senza sforzo. Il mondo non avrebbe avuto il Parsifal se Wagner non fosse venuto a Ravello. Una cosa non dobbiamo avere: la paura di perdere “la roba”. Spesso è preziosa, anzi sicuramente lo è, ma non ce ne accorgiamo. Gli altri possono aprirci gli occhi e allora sì che scatterà il nostro orgoglio.  

Occorrerebbero degli istmi, come gli istmi di Braudel. Uno sforzo intelletuale, dice il presidente del consiglio Santochirico alla Milanesiana, per mettere insieme “passato e futuro, memoria e tradizione”.

 

Quello che Paolo Verri chiama “passato remoto”. E lui, il grande corifeo di Matera2019, l’altro giorno, discutendo con molti giornalisti nei Sassi, diceva che in inglese suona ancora meglio, the ancient future. Perchè è tutto il mondo che deve capire chi siamo e cosa abbiamo. 

Santochirico ha il vantaggio di respirare l’aria di Matera. La città è il grande vantaggio che la Basilicata ha in questo momento (c’è dell’altro, non dimentichiamolo, il petrolio, per esempio. Agli stessi giornalisti ai quali parlava Verri il presidente degli industriali Somma ha dovuto faticare non poco per spiegare che è roba che non conviene buttare).

Attraversando i giorni della Bruna, mi sono chiesta se sarà mai possibile quello sforzo identitario di convergenza tra i luoghi di questa regione. E se basta una volontà di governo (ammesso che ci sia) per sostenerlo e promuoverlo. Me lo sono chiesto portandomi a casa un pezzo di cartapesta del carro, con lo stesso stupore con il quale indossai un sacco da contadina appena arrivata a Potenza partecipando alla festa dei turchi. 

Perchè si sfasciano i simboli per poi ricostruirli? Perchè cambiano, scriveva ieri Antonello Grassi, è il prezzo della modernità. Santochirico sostiene di avere l’impressione che la narrazione della Basilicata sia ferma a quella che ne ha dato un Torinese, Carlo Levi (ironia del destino anche Verri è un torinese). Dunque la Basilicata conosciuta per come l’hanno raccontata altri, e non luogo di elaborazione. Cita i nostri scrittori, cita Cappelli, Venezia, Nigro, le loro diversità. 

Ecco, appunto, le diversità. Il nodo cruciale a mio avviso è questo e dobbiamo chiederci se la Basilicata che vogliamo elaborare debba essere un mare nel quale si confondono i colori o se debba essere l’insieme di più mari, di più culture, l’una sull’altra, collegate da istmi. 

Io credo che i luoghi siano lì, con la loro storia che cambia, ma non si espande. Potenza e Matera, per uscire di metafora, sono due luoghi che poco hanno in comune e che con molta improbabilità potranno essere l’una per l’altra. 

Tralasciamo le forme delle presenze (Adduce che non viene a Potenza, Santarsiero che ricambia con la stessa cortesia). Le città sono come le loro feste e la loro gente, fortemente identitarie, separate, divergenti, piene di ricordi e malinconie. Più che unirci dobbiamo mescolarci, contaminarci. Ma non più dentro la Basilicata, dobbiamo contaminarci con il resto del mondo. 

La Basilicata narrata dagli altri? Che arrivino narratori stranieri, che abbiano il sorriso e l’allegria di Bregovic o di lady Eastwood o dei graffitari underground che dalla Potenza sotterranea e sconosciutissima dialogano con tutto il pianeta. E che siano Cappelli e gli altri scrittori a portare fuori a loro volta questo pezzettino di terra che vorremmo vedere ardere di luci come i fuochi l’altra sera dietro le croci della Murgia. 

Mi ha conquistato quello che ha detto un signore che racconta storie che ha aperto il suo terrazzo per lo spettacolo notturno. Pensando ad alta voce mentre i pompieri spegnevano i focolai dei guizzi pirotecnici ha detto: sarebbe bello se adesso bruciasse tutta la Murgia. Sarebbe bello per tutti coloro che cercano luci nella notte, un sogno ardente di passioni che bruci le nostre miserie. Non sforziamoci più di unire le nostre città, è una missione impossibile e forse anche ingiusta. Ma apriamole, questo sì. Ed esportiamo.

“Invia e ricevi”, mi suggerisce l’icona della mail. Se accogliamo, le città si espanderanno e costruiremo istmi naturali, senza accorgercene, senza sforzo. Il mondo non avrebbe avuto il Parsifal se Wagner non fosse venuto a Ravello. Una cosa non dobbiamo avere: la paura di perdere “la roba”. 

Spesso è preziosa, anzi sicuramente lo è, ma non ce ne accorgiamo. Gli altri possono aprirci gli occhi e allora sì che scatterà il nostro orgoglio.  

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