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Natuzzi ha comunicato ai sindacati la riorganizzazione dell’assetto italiano del gruppo, con la mobilita’ per 1.726 dipendenti a partire dalla fine della cassa integrazione (a ottobre). Cio’ per “salvaguarda la posizione di 2.789 lavoratori, di cui 1.449 interni e 1.340 nell’indotto”. Natuzzi ha parlato di “costi industriali” maggiori rispetto a competitor stranieri e “concorrenti sleali” nel distretto pugliese-lucano.

MATERA – Un fulmine a ciel sereno è scoppiato ieri a Roma sulla questione Natuzzi. Una mazzata pesantissima è quella contenuta nel piano di salvaguardia industriale presentato ieri alle organizzazioni sindacali nazionali e locali dall’azienda che prevede di fatto il ricorso immediato alla mobilità per 1726 persone sulle 2889 complessive del gruppo, di queste ben 1580 impegnate nella produzione e solo 144 impiegati. Un colpo pesantissimo che mette in ginocchio non solo l’azienda in termini di produzione ma soprattutto la strategia di sostegno al made in Italy anche per il futuro, interpretazione confermata anche dal segretario regionale della Fillea Cgil Angelo Vaccaro: «il contrario di quanto Natuzzi aveva assicurato in alcuni incontri solo pochi mesi fa che pone anche un problema di affidabilità.

Questo tipo di scelte finiscono di fatto per chiudere la linea produttiva in Basilicata sia per quanto riguarda Jesce 1 sia per quanto riguarda la parte logistica che si trova a La Martella. Un colpo sulla produzione che colpisce 200 persone a Jesce 1 e 85 a La Martella, persone già impegnate in una difficile condizione e con la cassa integrazione con la quale dover far fronte».

La crisi di settore che riguarda oramai da molto tempo il mobile imbottito e i salotti non trova dunque uno sbocco ed una strada alternativacome pure la firma del protocollo d’intesa lasciava presagire e credere.

In realtà arriva un messaggio diverso cioè la tenuta e il controllo dell’azienda in Italia ma una produzione che si allarga soprattutto in un territorio diverso.

Una scelta di cui si parlava da molto, che era stata sempre rigettata proprio con la voglia di difendere il made in italy ma oggi le ultime scelte molto forti e per certi versi drastiche lasciano fortemente pensare che la strada seguita dall’azienda va in questa direzione.

Ma non finisce qui perchè in più anche su altri fronti monta una certa preoccupazione.

«Si parla di dimezzamento dei costi industriali, un obiettivo che sarà molto difficile da raggiungere e che metterà a rischio anche il resto della produzione».  Di fatto da oggi è scattata una sorta di vera e propria mobilitazione generale con presidi in tutti quanti gli stabilimenti, il via libera ad una sorta di sciopero generale e un’assemblea che si terrà nella sede capofila di Santeramo.

«Di fatto Natuzzi mette a rischio il made in Italy, anzi direi proprio che mette una pietra tombale sulla produzione italiana». Di diversa opinione la Natuzzi secondo cui  «il Piano presentato alle parti sociali è il risultato di un’approfondita analisi condotta sui cambiamenti strutturali in atto nel settore dell’arredo, e conferma il ruolo strategico per Natuzzi S.p.A. delle produzioni “made in Italy” di qualità e delle competenze professionali presenti nel territorio».

Nella nota aziendale si parla in maniera specifica di un’azienda che Gli attuali organici in Italia non sono più sostenibili e tecnicamente non possono più essere gestiti attraverso la cassa integrazione straordinaria, che ha già coinvolto circa 1.450 collaboratori nel 2012, dei quali 674 a zero ore.

La risposta a questo scenario è la riorganizzazione dell’assetto italiano del Gruppo, che coinvolgerà complessivamente 1.726 dipendenti (1.580 negli stabilimenti produttivi, 146 negli uffici centrali) per i quali la società si vede costretta ad avviare le procedure di mobilità in vista della scadenza della Cassa ntegrazione Straordinaria prevista per ottobre 2013.

Attraverso questa riorganizzazione la Società intende salvaguardare la posizione di 2.789 lavoratori, di cui 1.449 interni e 1.340 nell’indotto.   

Gli attuali organici in Italia non sono più sostenibili e tecnicamente non possono più essere gestiti attraverso la Cassa Integrazione Straordinaria, che ha già coinvolto circa 1.450 collaboratori nel 2012, dei quali 674 a zero ore».

p.quarto@luedi.it

 

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