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SANT’ARCANGELO –  Sarà in aula a Lagonegro lunedì mattina Michele De Lorenzo, il 33enne arrestato dai militari al comando del capitano Davide Palmigiani. E’ lui il presunto attentatore che lo scorso 14 giugno ha provato a far esplodere una bombola del gas nel vicolo di servizio del municipio di Sant’Arcangelo, attiguo alla palazzina dove sono ospitati gli uffici di Acquedotto Lucano spa.

Giovedì, verso le 22, è stato condotto nel carcere di Sal Consilina dai carabinieri con l’accusa di tentata strage al termine di un’accurata perquisizione della sua abitazione da cui sarebbero emersi diversi elementi utili a identificarlo come l’autore dell’ordigno artigianale. Ma le indagini degli investigatori proseguono e non è ancora escluso che De Lorenzo abbia avuto un complice, cosa su lui stesso potrebbe far luce rispondendo alle domande del procuratore Vittorio Russo e del gip proprio lunedì mattina durante l’udienza nel Tribunale di Lagonegro per la convalida del fermo.

Alla base del gesto che ha sconvolto il piccolo paese della Val d’Agri ci sarebbe un profondo disagio economico che avrebbe alimentato un forte desiderio di rivalsa nei confronti delle istituzioni, e in particolare l’amministrazione comunale, considerata in qualche modo responsabile della sua condizione. L’uomo, nato a Marsicovetere e con piccoli precedenti di polizia per consumo stupefacenti, viveva solo a Sant’Arcangelo da qualche tempo dopo aver perso la madre in un tragico incidente stradale, e di recente anche il padre. Per un po’ aveva provato a darsi da fare come calzolaio poi però aveva dovuto chiudere bottega non riuscendo a fare fronte al costo delle utenze.

Gli investigatori sono arrivati a lui grazie a un attento lavoro di indagine sul territorio, svolto in maniera perlopiù tradizionale, battendo i vicoli del paese per sentire le voci delle persone. Fin quando qualcuno non ha fatto il suo nome e gli investigatori hanno deciso di procurarsi un mandato per effettuare una perquisizione. Da qui la scoperta di «materiale  comprovante il suo coinvolgimento nel confezionamento dell’ordigno» e il fermo di polizia come indiziato di delitto per scongiurare il rischio che vedendosi perduto potesse darsi alla fuga.    

Per i vigili del fuoco quel bombolone di gas, ricoperto di tappetini di catrame del tipo di quelli usati per isolare i tetti, e poi cosparso di liquido infiammabile poteva esplodere davvero. Perciò l’accusa è di tentata strage e De Lorenzo rischia una condanna a minimo 5 anni di reclusione. D’altra parte l’ora in cui l’attentatore ha collocato l’ordigno e ha acceso l’innesco di catrame e liquido infiammabile è stata collocata tra la mezzanotte e le cinque del mattino, quando in pochi si attardano per strada. Inoltre la bombola sarebbe stata piena solo per un quarto, cosa che ha ridotto in maniera esponenziale le possibilità che la temperatura generata dall’innesco scatenasse l’espansione del gas fino alla rottura dell’involucro di metallo.

L’allarme nei giorni scorsi aveva provocato diverse attestazioni di vicinanza al sindaco ed alla cittadinanza santarcangiolese da parte di esponenti politici di tutte le fazioni. In una telefonata al sindaco Domenico Esposito, il presidente del Consiglio regionale, Vincenzo Santochirico, aveva espresso la solidarietà del parlamentino lucano. Venerdì 21 giugno si è poi tenuto un consiglio comunale aperto con la partecipazione di amministratori locali, politici regionali e provinciali nonché rappresentanti della giustizia come il procuratore capo di Lagonegro, Vittorio Russo. «Ci sono forme che diventano sostanza e la reazione della comunità di Sant’Arcangelo e dell’intera Basilicata che vediamo oggi rende chiaro come una logica criminale e violenta in Basilicata non ha spazi». Così si era espresso il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, originario proprio di Sant’Arcangelo. «Qualcosa estraneo ai sentimenti e al modo di agire della nostra comunità, un gesto comunque isolato che trova un’intera comunità pronta a reagire». Questo il suo giudizio sull’accaduto.

Un caso simile si era verificato ad aprile dell’anno scorso e aveva visto protagonista l’auto del sindaco di Sant’Arcangelo cosparsa in parte di liquido infiammabile tipo trielina, proprio come quello contenuto nelle lattine ritrovate vicino al bombolone inesploso, che poi qualcuno aveva provveduto ad accendere. 

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