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METTIAMOLA così. Puoi anche uscirtene con un voto più basso di quello che meritavi, ma è difficile, proprio difficile che boccino la serietà con la quale ti sei preparato e ti sei presentato alla prova davanti alla commissione d’esame.
Oggi che centinaia di studenti varcano la porta d’accesso verso un futuro incerto (a proposito, in bocca al lupo, mi piacerebbe sapere, cari ragazzi, cosa usate al posto delle vecchie cartucce di temi arrotolati) vedo la Basilicata con la stessa angosciosa eppure esaltante eccitazione di chi si incammina verso la costruzione dell’avvenire.
Vista da lontano la Basilicata (che dico, l’Italia) è un granellino di territorio fuori dalle rotte. Ma è proprio una visione d’insieme, la visione di quello che gli altri stanno facendo o hanno fatto, che può aiutarci a mettere in moto un meccanismo di energia positiva e meno conflittuale.
A una condizione: bisogna sforzarsi di uscire da meccanismi mentali a mio avviso vecchi perché finora si sono rivelati infruttuosi e decadenti. Il concetto di vecchio, dunque, è collegato alla funzionalità di un meccanismo, non alla sua età. Un esempio relativo alla mobilità: ogni giorno mi arrivano segnalazioni sui ritardi dei treni per la Basilicata. Contemporaneamente ricordo i sussulti di dissenso all’idea proposta da De Filippo in campagna elettorale di scommettere sull’aeroporto di Pontecagnano al servizio della Basilicata. Premesso che anche quest’ultimo è frutto di una politica tipica degli investimenti sbagliati del passato – (è da quando faccio questo mestiere, quindi un bel po’, che se ne parla, pensate che sono stata addirittura addetto stampa di un aeroporto inesistente) – dicevamo che se guardiamo la Basilicata avendo davanti il mappamondo ci renderemo conto che le rotte aeree internazionali (come intensità di traffico) seguono una sola parabola: dall’America all’Europa, tutto il resto è fuori, persino il seducente sudamerica o l’Australia.
Se concentriamo lo sguardo sulla mappa dell’Italia o del Mezzogiorno continueremo a sostenere che ci serve la pista Mattei di Pisticci. Se sapremo guardare al mondo, penseremo che tutto sommato abbiamo l’aeroporto sotto casa, a Bari o a Napoli. Perché così è in altre parti del mondo. E abitare in un luogo dove posso scegliere di andare al mare (in un’ora sono in uno dei posti che rappresentano l’Italia nel mondo, la costiera amalfitana), o nel deserto dei calanchi, penso che sia un vantaggio, piuttosto che abitare tra le baracche di Capodichino. Quelli che abitano lì sì, davvero ci vanno a piedi all’aeroporto, però rischiano di rimanere a terra mentre attraversano la strada, colpiti da una pallottola vagante (è successo proprio due giorni fa, man on the road, stecchito a terra). I treni che ritardano?
Faranno sempre tardi, non inganniamoci a porre problemi la cui soluzione non ha sostenibilità economica: potenziamo altro: quanti soldi regala la regione a Trenitalia? Tanti, tantissimi. Ricordo le lettere di fuoco dell’ex assessore Gentile contro il management delle ferrovie italiane, cosa abbiamo risolto? Nulla. Allora si può iniziare a pensare diversamente? Per esempio, non inseguiamo più trenitalia, oggi in tutta Europa avanza il modello del car sharing: possiamo immaginare di incentivare questo meccanismo, potenziarlo, finanziarlo? Magari facciamo anche lavorare qualcuno. Altro esempio: la polemica sulla passerella nei sassi di Matera e sull’eolico. Basta mettere il naso fuori dall’Italia per rendersi conto di eversioni architettoniche bellissime, onde d’acciaio addosso a palazzi millenari, strutture ingabbiate, caramelle giganti fuori dalle ambasciate, grattacieli accanto ai castelli. Dunque il problema è il business scomposto che fa girare le pale (è il caso di dire) che non accettiamo e ne stiamo parlando tutti i giorni (a proposito piccola soddisfazione, l’Italia ha scoperto questo problema, leggete a pagina 10), non l’innovazione di forme e materiali che ben potrebbe dare un tocco di futurismo su una storia eterna come quella dei Sassi.
Tra l’altro a Matera basta la matita di un architetto che abbiamo in casa, come Tonio Acito. Insomma. Il senso dei miei pensieri qual è? La foto che oggi alleghiamo al pezzo di Salvatore Santoro è simbolica e significativa per il nostro ragionamento: noi abbiamo bisogno di futuro, non è tempo solo di mediazioni (su questo ho scelto per voi un bel pezzo dell’Inkiesta su come il premier Letta abbia deluso la stampa inglese: lo paragonano a Forlani, il democristiano delle mediazioni e dei toni corretti, in concreto nulla), ma di innovazioni significative, in tutti i campi, a partire però dalle nostre teste. Innovare non significa solo attrezzarsi di strumenti nuovi, quello non ci vuole nulla a farlo. Innovare significa rapportarsi alla modernità sapendo cogliere i nuovi bisogni e dando ad essi le risposte più oneste e più giuste. Prendiamo quello che è successo negli Usa con lo scandalo intercettazioni.
Obama che dell’accountability dell’azione di governo ha fatto un’ossessione è caduto in un imbarazzante scandalo al pari di qualunque maresciallo di provincia. Curioso, no? La trasparenza non sarà mai garantita da un account twitter, ma dalla volontà effettiva di rendere partecipe la collettività delle scelte dell’amministrazione. Potranno essere scelte sbagliate, ma i cittadini sono come i lettori: molto più intelligenti di quello che noi immaginiamo. Dunque prepariamoci a questa prova di maturità. La notte prima degli esami, qui da noi, è iniziata da un bel po’. Ma il grande giorno arriverà. Mettiamoci idee, non chiediamole solo agli altri (quanti bandi girano su progetti d’innovazione). Se sono buone idee faranno tendenza. Altri potranno copiarle, anzi così succederà. E magari saranno anche poco riconoscenti. Ma non c’è miglior gratificazione che vedersi copiato un modello, è la prova che funziona.
l.serino@luedi.it
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