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POTENZA – Quando il rinnovamento si fece quasi in silenzio. Erano gli inizi degli anni ’90. Allora Emilio Colombo aveva poco più di 70 anni. Eppure sembrava giusto per tutti (o quasi) che si mettesse da parte per dare spazio alle nuove generazioni. Colombo il “magnifico”. L’unico, forse, vero statista espresso dalla Basilicata nella storia repubblicana del Paese. Lui che in parlamento ci sedeva ininterrottamente dal 1946 dovette dare il passo alla voglia di nuovo. Ai giovani rampanti (molti dei qual
Ma gli anni passano per tutti (si pensava allora) ed era giusto che altri più giovani prendessero le redini politiche della Basilicata. La Democrazia cristiana dopo le vicende di Mani pulite era finita. Gli ex Dc stavano riorganizzando le “truppe” moderate in giro per l’Italia orfani dei generali che non c’erano più.
Emilio Colombo era uno di quelli. Fuori dal Parlamento dal 1992 perchè nominato ministro degli Esteri (e l’allora segreteria del partito aveva votato per l’incompatibilità dei ruoli) Colombo partecipò attivamente alla transizione della Dc nel nuovo Partito popolare italiano (Ppi) di Martinazzoli. Era il 1994 e Colombo fu uno dei maggiori sostenitori di Rocco Buttiglione nuovo segretario. Ma sulle ipotesi di approdare al centrosinistra (Colombo era pro) o al centrodestra di Berlusconi come invece preferiva Buttiglione l’asse si sfaldò. E pur essendo in minoranza (con la linea di Gerardo Bianco) Colombo è rimasto nel Ppi fino al 2001. Ma fuori dai giochi elettorali. Nel ruolo di saggio che era quello che ci si aspettava evidentemente da un politico che nei decenni precedenti era stato un gigante a livello nazionale. Ma tutti hanno avuto delle debolezze politiche: anche Colombo che nel 2001 abbandonò il partito erede della Dc in polemica con la dirigenza che non gli aveva riservato un collegio al Senato per le elezioni politiche del 2001.
Passò quindi a Democrazia europea di Sergio D’Antoni che lo candidò al Senato in un collegio della Basilicata, dove tuttavia non venne eletto.
In quegli anni la Basilicata “viaggiava” indipendente dalle logiche nazionali. Quasi tutti i big dell’ex Dc lucana a metà degli anni ’90 non si erano quasi posti il problema di aderire al progetto di Berlusconi. In Basilicata (grazie a Luongo e poi Restaino su tutti) si gettavano le basi per il Partito regione. Per quella macchina perfetta che avrebbe governato la Basilicata per quasi 20 anni. Proprio a partire dalle staffette tra vecchio e nuovo. “Pensionato” Colombo presero il suo posto come moderati lucani in Parlamento tra gli altri i quasi cinquantenni Tonio Boccia e Giampaolo D’Andrea.
Si parlava di laboratorio politico Basilicata. Quel centrosinistra in Basilicata che anticipò di un paio di anni l’Ulivo. A farne le spese fu la gran parte della vecchia guardia non solo Colombo. Angelo Sanza andò a cercare fortuna altrove mentre Pasquale Lamorte che già dagli anni ’70 era in Parlamento con Colombo passò alla dirigenza della Camera di Commercio. E la Basilicata diventò la Regione di Filippo Bubbico, Vito De Filippo e Vincenzo Folino. Non c’è dubbio che è stata un’epoca nuova. Per certi versi anche portatrice di innovazione. Ma il tempo passa per tutti. Non c’è dubbio che il 2013 “assomiglia” a quegli anni ’90. Servirebbe lo stesso coraggio. La stessa energia per mettere tutto in discussione. Anche i “magnifici”. E senza eccedere nel passo del granchio. Non ce ne vogliano i vari Boccia, Lamorte o D’Andrea ma quello che è stato è stato. L’esperienza e il valore politico non si discute. Ma il rischio di una “minestra riscaldata” è troppo alto. Per dirla con il calcio: nemmeno Mourinho all’Inter di nuovo farebbe il miracolo.
s.santoro@luedi.it
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