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POTENZA -Le regionali, i candidati, le primarie, il congresso: le future sfide del Partito democratico viste da Gianni Pittella, il vicepresidente del Parlamento a Strasburgo che in esclusiva al Quotidiano dice: «Non mi candido a governatore». Conferma il suo impegno in Europa, per l’Europa. Ma ribadisce anche il personale contributo alla ricostruzione del Pd nazionale, che già da mesi lo sta portando a girare molto sul territorio. Un partito che in questo momento deve fare autocritica ma anche riorganizzarsi al più presto, affrontando le questioni interne ma aprendosi all’esterno, per recuperare la distanza con i cittadini, senza più trincerarsi negli alibi. Ma questa volta gli occhi dell’europarlamentare sono puntati soprattutto sulle questioni lucane sulle prossime sfide del suo partito sul territorio.
Presidente, qualche tempo fa ha manifestato il suo interesse per la segreteria nazionale del partito. Nel frattempo molte cose sono cambiate, soprattutto in regione. La crisi politica ci ha portato al voto di novembre. Ha cambiato idea? Sarà candidato in Basilicata?
No, non sarò candidato alla presidenza della Regione. Lo dissi sinceramente qualche mese fa in una intervista al Quotidiano e lo confermo tanto più ora che sono impegnato a dare un contributo diretto a ricostruire il Partito democratico in Italia. Il mio ruolo oggi, e spero anche nel futuro, nel Parlamento Europeo ai massimi livelli è una conquista importante per la Basilicata e per la Italia. Rinunciarvi sarebbe un errore e un danno, mentre proprio lì, in Europa, si decideranno le sorti della economia della coesione sociale, della possibilità di archiviare l’austericidio, aprendo un nuova fase espansiva, creando posti di lavoro veri, e aprendo il cantiere degli Stati Uniti d’Europa.
All’interno del Partito democratico lucano si sta consumando un dialogo non semplice sul come riorganizzarsi in vista del voto di novembre e soprattutto su quale nome puntare. Quale è a suo avviso la candidatura più autorevole?
La soluzione migliore, non a caso unificante il Pd, e condivisa largamente anche fuori dal Pd, è quella che produce innovazione e competenza, poggiate su un tessuto di autorevolezza necessario a guidare sfide delicate e difficili. La persona è Roberto Speranza. Solo Roberto può nella sua libera scelta, che meriterebbe in ogni caso rispetto, venir meno ad un sua disponibilità che avevamo tutti accolto molto favorevolmente.
Ma fino a ora il giovane deputato sembra preferire altre soluzioni. Se non ci dovesse essere la candidatura di Speranza?
L’alternativa a questa ipotesi è una sola. Occorre chiedere a Vito De Filippo un atto di generosità verso la Basilicata. Vito ha dato tanto ma ha entusiasmo, lucidità, prestigio, competenza per guidare ancora la Regione. Peraltro la responsabilità che gli e’ stata attribuita dal partito di responsabile per il Mezzogiorno e quella che potrebbe traguardare di presidente della Conferenza Stato Regioni, darebbero al suo terzo mandato un profilo ancora piu’ autorevole.
Altrimenti?
Se le due ipotesi non sono praticabili e mi dispiacerebbe molto per la Basilicata, allora non ci sono fumisterie, invenzioni dell’ultima ora, c’e’ la strada maestra delle Primarie.
Ma questo Pd lucano è pronto alle prova Primarie che potrebbero rappresentare un bagno di sangue per le ataviche divisioni e le battaglie di schieramento che in questi giorni si stanno riproponendo con forza?
Le Primarie dovranno essere apertissime, senza contrapposizioni personalistiche, con donne e uomini che presentano alla comunità lucana le loro idee per la Basilicata. Nemmeno una goccia di sangue, ma fiumi di rispetto, di arricchimento reciproco, di ascolto. Una festa della democrazia.
Fino ad ora però, nessun confronto ufficiale è stato aperto. Speranza non scoglie definitivamente il nodo e nel frattempo non arrivano indicazioni sul da farsi. Il partito lasciato in pasto ai suoi “lupi”. Occorre fare presto, è impensabile che il primo partito lucano non decida su questi nodi entro giugno. L’incertezza che regna è foriera di ipotesi che durano lo spazio di un mattino, ma che contribuiscono a delineare un quadro di anarchia, di tutti contro tutti, senza il minimo di una idea, di una proposta e il cittadino si allontana.
A proposito di distanza con i cittadini… dopo l’ampio voto di protesta alle Politiche per Grillo e l’elevato astensionismo delle ultime amministrative teme nuove sorprese alle urne?
La sconfitta del Pd alle elezioni politiche e’ stata profonda e sbaglia chi pensa che il risultato delle amministrative testimoni che la crisi e’ passata. Siamo nel pieno di una crisi democratica, se è vero che la percentuale degli astenuti e’ altissima.
Il Pd ha perduto una occasione storica e risulta di pessimo gusto l’atteggiamento giustificazionista di taluni che imputano la colpa a tutti, Grillo e Belusconi, l’euro o l’America, salvo che a se stessi.
Ognuno di noi ha una quota parte di responsabilità ed è ovvio che chi ha guidato il partito ne ha molte di piu ed e’ doveroso fare autocritica e chiedere scusa ai nostri iscritti che hanno creduto in noi e che oggi si ritrovano con le larghe intese.
E lei personalmente come si sta impegnando in questa direzione?
Sto portando in tutta Italia, in centinaia di incontri con iscritti e cittadini, le mie riflessioni, il mio contributo per la ricostruzione del Pd, un documento aperto che sta ricevendo suggerimenti, interesse, adesioni. Sono felice di aver dissuaso molti che avevano deciso di non rinnovare la tessera e di aver ricreato un clima di entusiasmo e di voglia di crederci ancora.
Nel frattempo però il partito continua a rimanere in agonia. per quanto tempo ancora si può restare in questa situazione di instabilità?
Bisogna fare il congresso, subito e in modo apertissimo, non solo perché e’ previsto dallo statuto e sarebbe un colpo di mano inaccettabile rinviarlo, ma perché il congresso e’ la medicina, è lo strumento per richiamare il nostro popolo a discutere e a decidere.
Se dovesse indicare tre punti chiave per ricostruire il Pd?
Interesse prioritario verso l’Europa e parallelamente definizione di una propria dimensione europea, maggiore vicinanza con il territorio, unità nel progetto politico italiano, dal Mezzogiorno al Nord
Cioè pensa che il Pd non abbia avuto una posizione chiara sull’Europa?
L ’analisi degli errori commessi dal Partito Democratico deve essere rigorosa e severa mentre leggo autoassoluzioni semplicistiche e superficiali. Che senso ha inveire contro Beppe Grillo o Silvio Berlusconi dicendo che sbagliavano a proporre rispettivamente l’uscita dall’Euro e l’abolizione dell’Imu se in cambio di queste proposte non si è riusciti a mettere nulla sul piatto dell’offerta politica? Perché non siamo stati in grado di parlare dell’ insensatezza delle politiche di austerity dell’Europa? Non si può mantenere in vita un patto di stabilità in un Europa che versa in una situazione di profonda recessione e depressione. Un patto che stringe la spesa per gli investimenti. Come fa una società ad ossigenarsi? Questo è quello che avremmo dovuto dire, e fare! E ricordare chi ha scelto la strada dell’austerity: al tavolo di Angela Merkel non c’era solo Nicolas Sarkozy, c’era anche Silvio Berlusconi. Di sicuro, insieme a loro non c’era l’area socialista europea. Un’area entro cui, e questo è davvero vergognoso per il nostro partito: il Pd non ha una dimensione definita all’interno dell’Europa. Non apparteniamo a nessuna famiglia politica europea, e al nostro posto ci sono i Ds, il fantasma di un partito che non esiste più eppure è in Europa, nella famiglia dei socialisti e dei democratici europei, e noi siamo solo osservatori.
Parlava di maggiore vicinanza ai territori. Cosa ha determinato questa lontananza dalla gente?
Il territorio, la vicinanza con i cittadini, la richiesta di partecipazione non possono essere elementi secondari di un buon partito politico. Come si può restare sordi di fronte all’esigenza di coinvolgimento che gli elettori stanno chiedendo alla politica? Il Partito Democratico è diventato troppo centralistico, complice la legge elettorale, troppo legato in maniera univoca alla grigia burocrazia romana.
Rilancia la questione della centralità del Mezzogiorno. Un tema che molto spesso si limita a essere solo un punto della campagna elettorale.
Un progetto politico vincente deve tenere conto dell’unità del paese e sforzarsi di pensare a pratiche che tengano insieme il bene dell’intera penisola, da Nord a Sud. Il Mezzogiorno non deve essere visto soltanto come quel gruppo indistinto di regioni che sa chiedere soltanto le elemosina a Roma e all’Europa. Io credo profondamente nelle buone potenzialità del Sud, e mi farò portavoce di quel “Mezzogiorno virtuoso” che ho conosciuto e che ancora so che esiste e che dunque merita di essere motivato e sostenuto.
Pensa che Matteo Renzi possa essere un buon interprete del nuovo partito che ci sta raccontando?
Nella candidatura di Matteo Renzi vedo una chance positiva per il Partito Democratico, una sorta di elettroshock che possa scuotere l’anima del partito. Nonostante la mia divergenza su alcune linee del sindaco di Firenze, come il suo approccio decisamente troppo liberal, credo la sua presenza possa segnare uno spartiacque nell’attuale condotta del partito.
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