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SFILANO ventiquattro testimoni davanti ai giudici che processano il presunto attentatore del consigliere comunale Alberto Musy, ma la matassa, almeno in apparenza, ne esce ancora più ingarbugliata. Al punto che, alla fine dell’udienza di oggi, tanto gli accusatori quanto i difensori di Francesco Furchì, il «rancoroso faccendiere» che avrebbe premuto il grilletto per vendetta, si dicono ufficialmente «soddisfatti». Furchì è originario della provincia di Vibo Valentia. I testimoni convocati dal pm Roberto Furlan hanno reso dichiarazioni, inframmezzate da molti non ricordo, su alcuni aspetti cruciali. A cominciare dagli spostamenti dell’”uomo con il casco”, l’individuo intabarrato da un pastrano che, prima e dopo il ferimento di Musy, il 21 marzo 2012, ha percorso il centro storico di Torino sotto gli occhi dei passanti e delle telecamere. «Ho visto un uomo – ha detto un barista di corso Palestro, ad alcuni isolati dal luogo dell’agguato – con un casco in testa e un pacco in mano. Faceva avanti e indietro, sembrava molto nervoso e, siccome c’erano state delle rapine, ho pensato ‘ecco, oggi tocca a me”. Poi si allontanò. Lo rividi un pò di tempo dopo». 

Se gli orari sono importanti per l’alibi dell’imputato, la difesa si fa scudo dietro a chi ha notato “l’uomo con il casco” in corso Palestro alle 7:45, un momento incompatibile – dicono gli avvocati Giancarlo Pittelli e Mariarosaria Ferrara – con gli spostamenti di Furchì di quella mattina. L’accusa ha segnato un punto con la testimonianza degli impiegati di Ifi Credit, la società di mediazione creditizia per la quale collaborava Furchì. 
«Fu lui – hanno spiegato – a darci la notizia: ‘hanno sparato a Musy“’. Gli inquirenti hanno fissato la conversazione fra le 10 e le 10:30, e l’avvocato di parte civile Gian Paolo Zancan, a questo proposito, sottolinea che Furchì, quando venne fermato dalla polizia, in un primo tempo disse di aver saputo dell’agguato solo alle 14: quelle dichiarazioni non sono utilizzabili al processo ma – afferma il legale – aiutano a tracciare il quadro della situazione. Alla Ifi Credit, Furchì si occupava dell’acquisizione di Arenaways. Vantava spesso contatti con esponenti politici, alcuni dei quali (come «un senatore») passavano anche in ufficio. L’affare Arenaways naufragò e questo, per l’accusa, è uno dei moventi dell’agguato: Musy si sarebbe rifiutato di aiutare il calabrese Furchì. Del quale è stata riportata anche una battuta di spirito, scherzosa ma lugubre: «A proposito di un tizio che lo aveva contrariato – ha riferito una testimone – disse che sarebbe finito in un pilone della Torino-Reggio Calabria». Intanto proprio oggi la moglie di Musy, Angelica Corporandi D’Auvare, ha reso noto di aver ricevuto ieri sera il telegramma col quale s’informa che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, conferirà l’onorificenza di commendatore a suo marito. «Lo Stato non dimentica chi lo ha onorato e difeso sempre», è stato il commento Pier Ferdinando Casini, leader Udc.
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