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POTENZA – Detto fatto. Come annunciato all’indomani della bocciatura della moratoria sul petrolio da parte della Corte Costituzionale, la Giunta regionale ha detto no alla nuova richiesta di rilascio del permesso di ricerca di idrocarburi che interessa 13 comuni dell’aera del Vulture. La delibera è di ieri. Il primo atto formale dopo la decisione della Consulta, in risposta alla richiesta presentata dalla Aleanna Resources Llc.
L’occasione è buona, per il presidente De Filippo, per ribadire che il parere negativo non è legato solo alle valutazioni che attengono al pregio naturalistico, storico e ambientale della vasta area interessata.
Ma soprattutto al fatto che – per farla semplice – la Basilicata non può permettersi di diventare un colabrodo. E che – citando testualmente il testo del comunicato – “la valorizzazione e la protezione dell’ambiente costituiscono obiettivi primari ed ordinari della gestione del territorio”.
Non è detto che questa aggiunta costituisca un punto di forza nella strategia difensiva lucana, visto che, rispetto al singolo procedimento, ancora una volta si torna ad opporre quel precostituito diniego che la Corte ha giudicato illegittimo.
Ma al momento dire no è l’unica cosa che la Regione può fare. Tecnicamente si chiama “delibera di mancata intesa”. Basterà alla Basilicata per difendersi dall’assalto delle trivelle? La cosa funziona così: quando una compagnia petrolifera presenta una nuova istanza di ricerca, questa viene sottoposta alla valutazione bilaterale di Stato e Regione, alla ricerca di quella che dovrebbe essere un’intesa.
Cosa accade nel caso di pareri contrastanti? Fino a qualche mese fa il Consiglio dei ministri, in caso di mancato accordo entro i termini stabiliti, avrebbe potuto imporre la propria linea.
Una scorciatoia voluta dall’ex ministro Passera e fatta passare come uno snellimento delle procedure, all’interno del cosiddetto decreto “Semplifica Italia” poi convertito in legge. Ma lo scorso marzo la Suprema Corte ha dichiarato incostituzionale il comma 3 dell’articolo 61 del decreto-legge in questione. Sancendo che lo Stato non può bypassare l’intesa con la Regione.
Se la Basilicata può ancora sperare di far pesare il proprio no rispetto alle nuove istanze di ricerca è grazie a una sentenza della Consulta. Interessante è però scoprire che, nonostante la Basilicata sia la regione maggiormente interessata dalla questione, non può prendersi il merito della vittoria rispetto alla linea dettata dal ministro Passera. Il ricorso alla Corte Costituzionale, infatti, è stato presentato da Veneto, Puglia e Toscana. Ma non dalla Basilicata.
Quella stessa Regione che nel frattempo diceva di non volerne più sapere di nuove concessioni, non ha pensato di impugnare la legge dello Stato. Forse perché sperava che la moratoria sarebbe bastata a difendere il territorio? Eppure lo stesso presidente De Filippo, a nome della Conferenza delle Regioni, lo scorso dicembre, aveva presentato al Governo un documento contro la limitazione delle competenze regionali in fatto di energia. La guerra, però, quella vera, a colpi di ricorsi, l’hanno lasciata fare agli altri. Ed è solo grazie a questo che oggi le Regioni possono ancora contare qualcosa.
E’ pur vero, però, che la Strategia energetica nazionale resta improntata a un accentramento delle competenze in materia energetica. Tutto sta a capire ora quanta parte di quell’orientamento politico impresso dall’ex ministro Passara sarà raccolto dal nuovo Governo. Questione posta ieri anche dal consigliere socialista Rocco Vita che invoca una risposta lucana più dura ma che ritiene pure indispensabile un segnale da parte del premier Letta. E’ da questo che dipenderà il futuro della Basilicata, che nell’ambito della pianificazione energetica nazionale, resta la produttrice di risorse da fonti fossili numero uno, destinata ad accrescere, e anche di molto, il proprio contributo.
Cosa possono fare i lucani? Arrovvellarsi sul come andare in guerra o decidere in via preliminare se quella guerra davvero la si vuole fare. Dire una volte per tutte e con chiarezza che il petrolio non lo si vuole più o se lo si vuole, ma a determinate condizioni. Linea, quest’ultima, affermata in quel Memorandum del 2011 portato avanti congiuntamente da Pd e Pdl. Prima della moratoria approvata all’unanimità, solo un anno dopo, che afferma esattamente il contrario. Un’ambiguità che, anche all’interno dello stesso Partito democratico lucano, aveva portato a differenze di vedute e pesanti contrasti.
Divergenze che – a parere del vice presidente del Consiglio regionale, Franco Mollica che nel frattempo annuncia un no senza se e senza ma al petrolio – non possono più esistere. Il Pd, insomma, dovrà dire con chiarezza e soprattutto esprimere una posizione univoca sul futuro estrazioni in Basilicata.
Chi esce allo scoperto è Sinistra ecologia e libertà che, attraverso le parole del coordinatore regionale, Maria Murante, oltre a denunciare il bluff della moratoria defilippiana, chiede una netta inversione di strategia in fatto di crescita e sviluppo. Che non passi più dalle attività estrattive inconciliabili con la tutela dell’ambiente e la salute dei cittadini. Solo questi ultimi – secondo il coordinatore del Movimento No Oil, Miko Somma – hanno veramente diritto di decidere se via lucana allo sviluppo debba passare o meno dalle attività estrattive. Quindi la proposta: un referendum consultivo. E’ chiaro però che, anche dopo l’esito non proprio a sorpresa della moratoria lucana, una generica enunciazione di principio non può più bastare a trascinare le folle. Chi si candida a governare la Regione dovrà dire con chiarezza cosa fare e come realizzarlo, con strategie e strumenti realmente all’altezza della sfida.
m.labanca@luedi.it
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