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STAVOLTA proprio non se l’aspettava. E quando i Finanzieri all’alba l’hanno svegliato per notificargli l’ordine di carcerazione del gip di Bologna, pare sia rimasto senza parole. Ha chiamato il suo avvocato, l’ha avvertito che lo stavano arrestando – per la terza volta – e, scortato dalle Fiamme Gialle, ha raggiunto l’istituto di pena Pagliarelli di Palermo.

Una storia giudiziaria infinita quella di Massimo Ciancimino, imputato che veste anche i panni del superteste nel processo sulla trattativa Stato-mafia, condannato per riciclaggio, indagato per detenzione di esplosivo e ora agli arresti insieme ad altre 9 persone – 4 sono ai domiciliari – con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale. 

L’inchiesta viene avviata dalla Procura di Ferrara nel 2010. Ma agli atti finiscono una serie di intercettazioni telefoniche che, secondo i pm, proverebbero rapporti tra Ciancimino e Girolamo Strangi, un faccendiere legato alla cosca Piromalli di Gioia Tauro: le carte passano allora alla Dda di Bologna, competente per i reati di mafia. E i magistrati del capoluogo emiliano chiedono l’arresto di Ciancimino, ipotizzando l’aggravante del favoreggiamento mafioso. Davanti al gip però la contestazione cade. Il figlio dell’ex sindaco va comunque in carcere, il giudice delle indagini preliminari di Bologna si dichiara incompetente e il fascicolo torna alla Procura di Ferrara che entro 20 giorni dovrà richiedere la misura cautelare, pena la decadenza dell’arresto. 

L’inchiesta è complessa e ipotizza l’esistenza di un’associazione criminale, della quale Ciancimino sarebbe la mente, che avrebbe tra l’altro evaso Iva per oltre 30 milioni di euro. Il superteste della trattativa, con la collaborazione del suo braccio destro Paolo Signifredi e grazie alla complicità degli altri indagati, avrebbe costituito una serie di società di comodo che operavano nel settore della vendita dell’acciaio. Le società avrebbero attestato falsamente di essere “esportatori abituali”: soggetti che, dichiarando di vendere a compratori residenti in Paesi non comunitari, sono esentati dal pagamento dell’Iva. Solo che la cosiddetta dichiarazione di intenti, con cui si garantiva la vendita negli Stati non comunitari, era falsa e il metallo veniva commercializzato nel mercato nazionale. In questo modo l’acquirente beneficiava di un prezzo inferiore a quello di mercato e, esponendo nella fattura l’aliquota Iva del 20%, acquistava il diritto alla detrazione. Il venditore, invece, ometteva il versamento dell’Iva per poi scomparire nel giro di un anno col suo carico di debiti fiscali. 

Le società di comodo, per evitare di finire nel mirino dei finanzieri, operavano contemporaneamente in diverse città. Un piano ingegnoso costato agli indagati, oltre all’accusa di evasione, quella di truffa aggravata allo Stato. Del business faceva parte anche Gianluca Apolloni: «profondo conoscitore – scrive il gip – dei sistemi di traghettamento dei capitali e dei titoli societari verso Panama, Stato noto per la sua totale non cooperazione su piano giudiziario». Gli indagati avrebbero trasferito quote e sedi sociali di alcune delle ditte coinvolte a Panama City, «impedendo di fatto la persecuzione da parte della autorità giudiziaria italiana».  

All’organizzazione criminale i pm contestano anche il ricorso al credito bancario attraverso l’uso di documenti falsi – bilanci e dichiarazioni fiscali – che avrebbero attestato la prosperità delle società poi usate per le frodi fiscali.  Oltre ai 13 arrestati sono decine le persone coinvolte nell’inchiesta come i lucani Mario e Tonino Paletta, fratelli originari di Trecchina da tempo residenti nei dintorni di Ferrara (il primo anche pregiudicato) e il compaesano Mario Carlomagno. Per gli investigatori delle fiamme gialle sarebbero stati dei prestanome di Ciancimino, Signifredi e Apolloni a cui venivano intestate le società utilizzate per compiere le operazioni di comodo.

«E’ un’indagine vecchia, risale ad anni fa, non si capisce dove sia il rischio di reiterazione del reato», dicono i legali di Ciancimino, Francesca Russo e Roberto D’Agostino che parlano di «strana tempistica» alludendo all’avvio del processo sulla trattativa, cominciato a Palermo lunedì. Mentre il fratello del giudice Paolo Borsellino, Salvatore, che al dibattimento è parte civile, difende l’indagato e si dice addirittura «preoccupato per la sua incolumità in carcere».

l.amato@luedi.it

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