Dalla raccolta rifiuti alla pulizia strade: e gli enti ne hanno bisogno
Lavoratori a nero autorizzatiEcco come vive un Lsu lucano
SAN CHIRICO RAPARO – Come si vive con 550 euro al mese? Se lo chiedi a Maria Giovanna Capoggio, capovolge la domanda: «Perché si vive?». Immaginate di dover far rientare in quella cifra l’alimentazione quotidiana, l’affitto di casa, le spese per crescere i figli e le bollette. Immaginate e datevi una risposta.
Maria Giovanna è sposata, ha tre figli e un marito in pensione. Il budget familiare – quando tutto va per il verso giusto – è di 1.200 euro mensili. Ed è una “fortunata”, perché ci sono «padri di famiglia che vivono solo con 550 euro».
Uno dei figli di Maria Giovanna lavora, un altro è all’Università «e io voglio continuare a farlo studiare». Ostinatamente, nonostante ci sia poco di cui stare allegri, ci crede ancora che per il figlio andrà diversamente, forse ci spera che, dopo la laurea, resti lontano da San Chirico e dalla Basilicata. L’alternativa, altrimenti è una vita fatta di stenti, di continua precarietà. E domani ti potrebbero dire: “Ci dispiace, non ci sono soldi per te”. E siccome essere un Lsu non significa esattamente essere un lavoratore, ti ritroverai nella stessa condizione anche in vecchiaia. Perchè significa non avere accumulato neppure un giorno di contributi. «Nonostante noi lavoriamo e tanto anche. Qui a San Chirico Raparo [in tutto 18 Lsu, 4 uomini e 14 donne, ndr.] noi ci occupiamo della nettezza urbana, abbiamo portato il camion in discarica, raccogliamo i bidoni e i sacchetti della differenziata. Fino all’anno scorso gestivamo la mensa scolastica: il Comune comprava solo il necessario: noi facevamo le cuoche e la ricezione, nonché le pulizie finali. Abbiamo fatto di tutto: pulito le fogne e strappato l’erba sui muri in tufo del nostro paese e ora stiamo pulendo il fondovalle Racanello con zappe e tagliaerba. Io – così come i miei colleghi – le mie quattro ore al giorno me le guadagno tutte lavorando sodo».
In tutto 20 ore settimanali pagate 550 euro al mese: 500 il contributo della Regione, 50 arrivano dal Comune. Si tratta però di “sostegno al reddito”, quindi chiaramente non si accumulano contributi. Solo che alla fine, il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione ha reso il lavoro di queste persone assolutamente necessario.
«Oggi sono fondamentali – conferma il sindaco Claudio Borneo – perché i Comuni hanno poco personale. E spero davvero che anche il governo Letta affronti seriamente la questione del precariato. Cosa accadrebbe se loro non ci fossero? Semplice: io Comune, per esempio, sarei costretto a esternalizzare il servizio di raccolta rifiuti perché in attivo ho una sola persona. Ma questo significa triplicare i costi». E in questo momento di fondi ridottissimi per gli enti locali sarebbe davvero impensabile. E, tra l’altro, ci sono padri di famiglia con quell’unico reddito. Io capisco allora il Patto di stabilità, so bene che la Regione ha dei vincoli, però credo che in alcuni casi bisognerebbe avere una diversa sensibilità. E a noi non è stato possibile neppure fare un’anticipazione di cassa». Da gennaio a maggio senza neppure un euro. C’è il Patto di stabilità e dalla Regione i soldi non arrivano.
Ma credete che i servizi si siano fermati? Ovviamente no, «perché noi non possiamo neppure fare uno sciopero: non ci pagano se non lavoriamo». Ed è un cane che si morde la coda.
Senza contare che non tutti gli Lsu sono uguali: perchè ci sono quelli più fortunati che vengono pagati con risorse ministeriali (Fondo nazionale per l’occupazione) e che quindi non hanno avuto problemi legati al Patto di stabilità – su 485 parliamo di 185 persone – e gli altri 300 a carico del bilancio regionale, senza soldi da gennaio.
Una guerra tra poveri, fatta «di rospi continui da ingoiare. C’è gente che è invecchiata così, ci hanno portato in canzone senza mai trovare per noi una soluzione. Che se io non ne avessi bisogno me ne starei a casa mia a riposarmi. Se sono lì tutti i giorni è perché ne ho bisogno. Ma così siamo solo dei lavoratori a nero legalizzati dallo Stato». E così mentre c’è chi la spesa la fa a carico della Regione – e non sarebbe autorizzato – c’è chi non può pagare le bollette ed è in arretrato con l’affitto pur avendo diritto a quella forma di sostegno al reddito. Così Maria Giovanna, per mantenere vive le speranze del figlio, deve ingoiare l’ennesima umiliazione. E come lei anche gli altri, costretti a farsi mantenere ancora dagli anziani genitori o da qualche figlio che, fortunatamente lavora. Una povertà senza voce finora tenuta nascosta, ma che alla lunga finirà per esplodere.
a.giacummo@luedi.it
SAN CHIRICO RAPARO – Come si vive con 550 euro al mese? Se lo chiedi a Maria Giovanna Capoggio, capovolge la domanda: «Perché si vive?». Immaginate di dover far rientare in quella cifra l’alimentazione quotidiana, l’affitto di casa, le spese per crescere i figli e le bollette. Immaginate e datevi una risposta. Maria Giovanna è sposata, ha tre figli e un marito in pensione. Il budget familiare – quando tutto va per il verso giusto – è di 1.200 euro mensili. Ed è una “fortunata”, perché ci sono «padri di famiglia che vivono solo con 550 euro». Uno dei figli di Maria Giovanna lavora, un altro è all’Università «e io voglio continuare a farlo studiare». Ostinatamente, nonostante ci sia poco di cui stare allegri, ci crede ancora che per il figlio andrà diversamente, forse ci spera che, dopo la laurea, resti lontano da San Chirico e dalla Basilicata. L’alternativa, altrimenti è una vita fatta di stenti, di continua precarietà. E domani ti potrebbero dire: “Ci dispiace, non ci sono soldi per te”. E siccome essere un Lsu non significa esattamente essere un lavoratore, ti ritroverai nella stessa condizione anche in vecchiaia. Perchè significa non avere accumulato neppure un giorno di contributi. «Nonostante noi lavoriamo e tanto anche. Qui a San Chirico Raparo [in tutto 18 Lsu, 4 uomini e 14 donne, ndr.] noi ci occupiamo della nettezza urbana, abbiamo portato il camion in discarica, raccogliamo i bidoni e i sacchetti della differenziata. Fino all’anno scorso gestivamo la mensa scolastica: il Comune comprava solo il necessario: noi facevamo le cuoche e la ricezione, nonché le pulizie finali.
Abbiamo fatto di tutto: pulito le fogne e strappato l’erba sui muri in tufo del nostro paese e ora stiamo pulendo il fondovalle Racanello con zappe e tagliaerba. Io – così come i miei colleghi – le mie quattro ore al giorno me le guadagno tutte lavorando sodo».In tutto 20 ore settimanali pagate 550 euro al mese: 500 il contributo della Regione, 50 arrivano dal Comune. Si tratta però di “sostegno al reddito”, quindi chiaramente non si accumulano contributi. Solo che alla fine, il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione ha reso il lavoro di queste persone assolutamente necessario.
«Oggi sono fondamentali – conferma il sindaco Claudio Borneo – perché i Comuni hanno poco personale. E spero davvero che anche il governo Letta affronti seriamente la questione del precariato. Cosa accadrebbe se loro non ci fossero? Semplice: io Comune, per esempio, sarei costretto a esternalizzare il servizio di raccolta rifiuti perché in attivo ho una sola persona. Ma questo significa triplicare i costi».
E in questo momento di fondi ridottissimi per gli enti locali sarebbe davvero impensabile. E, tra l’altro, ci sono padri di famiglia con quell’unico reddito. Io capisco allora il Patto di stabilità, so bene che la Regione ha dei vincoli, però credo che in alcuni casi bisognerebbe avere una diversa sensibilità. E a noi non è stato possibile neppure fare un’anticipazione di cassa». Da gennaio a maggio senza neppure un euro. C’è il Patto di stabilità e dalla Regione i soldi non arrivano. Ma credete che i servizi si siano fermati? Ovviamente no, «perché noi non possiamo neppure fare uno sciopero: non ci pagano se non lavoriamo». Ed è un cane che si morde la coda. Senza contare che non tutti gli Lsu sono uguali: perchè ci sono quelli più fortunati che vengono pagati con risorse ministeriali (Fondo nazionale per l’occupazione) e che quindi non hanno avuto problemi legati al Patto di stabilità – su 485 parliamo di 185 persone – e gli altri 300 a carico del bilancio regionale, senza soldi da gennaio. Una guerra tra poveri, fatta «di rospi continui da ingoiare. C’è gente che è invecchiata così, ci hanno portato in canzone senza mai trovare per noi una soluzione. Che se io non ne avessi bisogno me ne starei a casa mia a riposarmi. Se sono lì tutti i giorni è perché ne ho bisogno. Ma così siamo solo dei lavoratori a nero legalizzati dallo Stato». E così mentre c’è chi la spesa la fa a carico della Regione – e non sarebbe autorizzato – c’è chi non può pagare le bollette ed è in arretrato con l’affitto pur avendo diritto a quella forma di sostegno al reddito. Così Maria Giovanna, per mantenere vive le speranze del figlio, deve ingoiare l’ennesima umiliazione. E come lei anche gli altri, costretti a farsi mantenere ancora dagli anziani genitori o da qualche figlio che, fortunatamente lavora. Una povertà senza voce finora tenuta nascosta, ma che alla lunga finirà per esplodere.