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POTENZA – Come si rovina un’intera generazione di lucani? Rendendo «stabile la precarietà». Ha l’accento campano Enrico Gambardella (Cisl Basilicata). Quando è arrivato in Basilicata era in Prefettura. Ma la passione per il sindacato poi ha preso il sopravvento. E quel progetto di “contrasto alla povertà” alla fine è diventato più importante. Solo che, dopo un decennio di battaglie quotidiane, la povertà sembra aver preso il sopravvento. Perché? Perché se questo è un territorio con tante risorse e con piccoli numeri? Perché il lavoro resta l’emergenza principale?
«In primo luogo perché in questi anni si è cercato di dare tante risposte immediate senza però una seria programmazione del futuro. Lo dimostra la vicenda dei Lavoratori socialmente utili. Doveva essere una misura temporanea, invece abbiamo finito per creare un precariato stabile. Ora in quella condizione ci sono persone sottopagate che sono, però, necessarie ai Comuni. Sono state alimentate aspettative sulla stabilizzazione, sono state allontanate dal mercato del lavoro persone che all’epoca (parliamo del 1998-1999) avevano 25/30 anni. Giovani (all’epoca), che per paura di perdere quel sostegno al reddito hanno magari rifiutato altre strade. Si è bruciata così un’intera generazione di lucani. E ora quelle persone sono arrivate a 50 anni».
Senza più futuro insomma…
«Parliamo di tante persone che sopravvivono con appena 500 euro al mese e che, in questi anni, non hanno accumulato neppure i contributi previdenziali. Quello non è lavoro è sostegno al reddito. E sono senza prospettive occupazionali. Parliamo di 485 persone che hanno perso ogni treno. In questi anni, in realtà, ci sono state diverse campagne di incentivazione. Poi con la Finanziaria dello Stato del 2003 qualche Comune ha avuto la possibilità di stabilizzare: a Potenza, per esempio, 70 persone, negli altri Comuni si è proceduto all’assunzione diretta di circa 60 Lsu. L’anno successivo non è stato più possibile. Ma poi la valanga di ricorsi di chi è rimasto fuori ha finito per scoraggiare anche quei sindaci che erano intenzionati a fare qualcosa. C’era il primo cittadino di Moliterno Latorraca, per esempio, che avrebbe voluto farlo. Ma i contenziosi non sono un incentivo».Quindi siamo andati avanti mettendo ogni volta delle “pezze”.«Questa è una misura che deve essere rifinanziata anno per anno e il rischio di rimanere senza un sostegno è sempre dietro l’angolo».
Possibile che ci fosse solo la stabilizzazione come alternativa? Perché è solo nella pubblica amministrazione che queste e altre persone vedono concretamente la possibilità di lavorare? E’ evidente che c’è una distorsione…
«Forse possiamo farci un’idea con un esempio concreto: i bandi per l’assegnazione dei lotti industriali. Sulla carta sembrava conveniente per le aziende, ma così non era e infatti quell’operazione è stata fallimentare. Noi dobbiamo tener presente, infatti, che attorno alla Basilicata ci sono altre regioni che offrono condizioni sicuramente più convenienti. E qui non ci sono neppure le idonee condizioni infrastrutturali».
Torniamo sempre allo stesso punto: cosa manca? Le persone con le giuste competenze forse?
«No, non credo sia questo. Piuttosto credo che dipenda dal fatto che si scelgono sempre politiche generaliste che, alla fine, non portano risultato. Facciamo un esempio concreto: la programmazione 2000-2006. E’ quella in cui è inserito anche il progetto “Un computer in ogni casa”. E quell’idea nel 2000 era straordinariamente innovativa: non a caso ottenne premi e riconoscimenti ovunque. L’idea di base era questa: io fornisco alle famiglie un supporto informatico per poter accedere alla rete dei servizi regionali. E’ un concetto avanzato di pubblica amministrazione che, in tal modo, punta a contrastare l’esclusione sociale. Per capirci meglio: chi vive a Episcopia, attraverso quella rete, avrebbe potuto collegarsi direttamente con il centro per l’Impiego più vicino. Con la rete quelle distanze si annullano. Cosa è successo concretamente? La rete non è mai stata creata e abbiamo solo regalato computer a tutti. Il superamento del divario tecnologico era idea innovativa nel 2000 ma noi oggi ci ritroviamo a riproporre le stesse questioni. E io capisco che quello lucano sia un territorio orograficamente difficile, ma era quella la sfida, per quello erano stati stanziati milioni. E invece – e siamo nel 2013 – ci sono Comuni che non hanno ancora neppure l’Adsl».
E per questo certo non ci hanno dato premi. Ma non eravamo la “regione virtuosa”?
«Non siamo virtuosi, è che abbiamo numeri inferiori. E poi la fama di regione virtuosa nasce perché siamo più bravi degli altri a spendere i fondi comunitari. Ma poi bisogna vedere quali sono le ricadute sul fronte occupazionale».
Eppure di progetti in tal senso ne potremmo elencare tanti: “Un ponte per l’occupazione”, per esempio, oppure i “100 talenti”, “Gel”, “Reddito ponte”, “Generazioni verso il lavoro”? Tanta originalità nei nomi, ma poi nessun effetto concreto.«Vogliamo parlare, per esempio, del “Ponte per l’occupazione”? Precisiamo che noi sindacati non siamo stati d’accordo sin dall’inizio. Dirò di più: sono stati talmente bravi da riuscire a far mettere d’accordo sindacati, organizzazioni datoriali e Confindustria nel dire «No» al “Ponte”. Allora: attraverso un percorso formativo, un gruppo di giovani è stato “occupato” per due anni. Sono stati spesi 45.000 euro per ogni giovane coinvolto nel progetto, ma solo il 30% è andato a loro. Tutto il resto è stato speso per i docenti, per la gestione, per gli enti formativi sostanzialmente».
Ma la formazione che si fa in Basilicata è finalizzata al lavoro? Cioè: che me ne faccio del corso di formazione in inglese, tanto per fare un esempio, se non c’è un’azienda che sia interessata a giovani che sappiano parlare inglese? Si studia – prima di finanziare la formazione – quello che serve alle poche aziende che ci sono su questo territorio?
«Ed è per questo che ho detto che alla fine sono riusciti a far mettere d’accordo sindacati e Confindustria sul dire no a quel progetto. La verità è che la Basilicata ha circa 300 enti di formazione privati accreditati. Una cifra che neppure in Lombardia troviamo. E sapete chi non è stato accreditato, invece? gli Enti bilaterali [enti privati costituiti dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro di una determinata categoria professionale. Sono costituiti liberamente, di solito in attuazione di previsioni del contratto collettivo. E la legge permette loro di fare formazione senza profitto, ndr.]. L’inghippo qual è? Le misure del Fondo sociale europeo sono mirate a creare competenze e non lavoro. Il monitoraggio è sulla formazione, non sull’occupazione».
E così diventiamo virtuosi a spendere soldi inutilmente, senza che vi sia alcuna ricaduta occupazionale? Mi sembra di capire che manteniamo un sistema che si auto alimenta senza mai liberare dal bisogno di lavoro i lucani...
«E’ così quando manca una programmazione di lungo periodo. Ed è anche il motivo per il quale noi sindacati, in maniera unitaria, stiamo chiedendo un Piano per il lavoro. Perché se ogni politica fosse ingabbiata nell’ambito di un piano, nessuno potrebbe elargire così come capita. E si eviterebbero progetti speciali che, guarda caso, arrivano sempre alla vigilia delle elezioni. Non dobbiamo più permettere che la scelta del tempo e il modo sia legato al singolo e alla singola azione, perché così viene a mancare il quadro d’insieme e ognuno può agire in maniera disgiunta volta per volta. Io non dico che tutto quello che si è fatto è stato fallimentare: sono state fatte delle scelte, ci sono state intuizioni anche intelligenti, ma ognuna doveva poi portare un risultato: l’obiettivo non era solo quello di spendere dei fondi, era anche quello di far lavorare i lucani. Di mostrare l’efficacia di quelle misure».
Ma forse non conviene rendere efficaci quelle misure: non ci sarebbe più il bisogno. E senza quello come fai a gestire il consenso?
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