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CATANZARO – Il giudice dell’udienza preliminare ha rinviato a giudizio le sei persone coinvolte nell’inchiesta su presunti illeciti connessi al fallimento dell’ex società calcistica Us Catanzaro, dichiarata fallita il 15 giugno del 2007. Accogliendo la richiesta del pubblico ministero, il giudice Maria Rosaria Di Girolamo ha mandato i sei accusati al processo, che avrà inizio il 7 ottobre davanti al tribunale collegiale, nel corso del quale dovranno rispondere a vario titolo di truffa aggravata per il conseguimento di fondi pubblici e bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Gli imputati sono ex dirigenti ed ex consulenti della società calcistica fallita: gli imprenditori Claudio Parente, Massimo Poggi e Bernardo Colao, il commercialista Giuseppe Ierace, il consulente d’azienda Domenico Cavallaro, nonchè l’avvocato Gerardo Carvelli. La richiesta di rinvio a giudizio è giunta a conclusione delle indagini della Guardia di finanza partite a seguito di una verifica fiscale relativa agli anni 2006 e 2007, da cui sarebbero emerse irregolarità nella gestione societaria che avrebbero portato al fallimento. La presunta truffa, secondo la ricostruzione dell’accusa, si sarebbe concretizzata nell’indebita percezione, risalente al giugno del 2007, di circa tre milioni e mezzo di euro di contributi provenienti dalla Lega Calcio, e altri 500.000 euro sborsati dalla Provincia di Catanzaro.
LA DIFESA. «La decisione del rinvio a giudizio di tutti gli amministratori che si sono succeduti negli ultimi 5 anni della gestione dell’Us Catanzaro era un provvedimento quasi scontato, considerato che si doveva valutare solo il fumus dell’indizio di reato da discutere in dibattimento anche se gli avvocati erano convinti che le sentenze del tribunale del riesame e della cassazione avessero già chiarito gli aspetti legati a questa incresciosa vicenda in quanto era venuto meno il ‘fatto reatò». Lo afferma, in una dichiarazione l’ex presidente dell’Us Catanzaro Claudio Parente, oggi assessore regionale, tra i rinviati a giudizio. 
«Ma tant’è – prosegue – oltre a quanto già definito dalla cassazione sarà semplice dimostrare, ad esempio, che i lavori allo stadio furono realmente realizzati, come già accertato in sede civile e per il fatto che non risultino indagati coloro che materialmente li hanno eseguiti, controllati, autorizzati (ditte, fornitori, tecnici della prefettura e della lega) o come l’enorme massa dei debiti accumulati negli anni ante-2001 si sia arrestata solo grazie alle ricapitalizzazioni effettuati dalla maggioranza azionaria che faceva capo al sottoscritto, per come dichiarato dallo stesso curatore e riportato dalle perizie ordinate dai magistrati dai quali si evince che l’impegno economico è stato nettamente superiore a quello affrontato da tutte le compagni societarie che ci avevano preceduto e che la mia gestione è stata trasparente se è vero come è vero che non è stato coinvolto nemmeno il collegio sindacale. Purtroppo, in questa vicenda, la squadra di calcio era solo lo strumento operativo di un disegno perverso messo in atto da chi intendeva perseguire azioni criminose, alle quali non solo non mi sono mai piegato ma che ho pubblicamente denunciato sia sulla stampa (luglio 2005, giugno 2006) che, in modo puntuale, nelle sedi competenti e in tempi non sospetti rispetto a quelli in cui fu accertata la valenza criminale di chi era interessato a tale scopi. La mancata iscrizione avvenne per il solo fatto che non volemmo subire una seconda estorsione o renderci complici di atti e fatti che sarebbero sfociati in ben altre iniziative giudiziarie, come la storia ha poi dimostrato, preferendo affrontare le varie tappe della procedura concorsuale, da sempre rintuzzata con il concordato preventivo prima, il ricorso in appello accolto, mentre la cassazione decretò il fallimento solo per una interpretazione tecnica difforme sulla nuova legge fallimentare. Questo è quanto dissi al Procuratore della Repubblica dell’epoca e riportato negli atti del procedimento, sicuro della trasparenza del mio operato. Ero, altresi, convinto che questo rappresentasse il male minore, anche in termini sportivi perchè avevamo preso una squadra in serie C2 con nove milioni di debiti che sarebbe potuta ripartire, sempre dalla serie C2, senza una lira di debito, senza le pressioni della piazza, scientificamente azionate, e con grandi possibilità di ritornare, in brevissimo tempo, in serie B senza rischiare amministratori giudiziari. Ho dato corpo, nei fatti e 7 anni prima, a quanto oggi consigliato dal Giudice Gratteri nella seduta del Consiglio comunale di Modena (marzo 2013) dedicata alla prevenzione e contrasto alle mafie: è preferibile chiudere e denunciare che avere come socio di minoranza chi porta capitali facili per poi assumere completamente il controllo della società. Tutto questo mi è costato tantissimo e non solo dal lato economico, ma per le conseguenze della cattiveria di quei pochi soggetti manipolati che avevano il compito di aizzare i tifosi prima ed oggi di strumentalizzare a loro piacimento questa vicenda kafkiana. Ma il tempo è galantuomo e permetterà di ristabilire la verità storica di questa vicenda cosi come il dibattimento porterà alla luce anche i fiancheggiatori di chi allora provocò l’instabilità societaria finalizzata alla sostituzione della maggioranza azionaria». 
 «Nonostante ciò – conclude Parente – rifarei tutto quello che ho fatto perchè rimane indelebile il ricordo della gioia sfrenata vissuta dai 15mila tifosi ad Ascoli, e di tutti i tifosi della provincia di Catanzaro, per il ritorno in serie B dopo 14 anni di purgatorio. Gioia pari alla stessa che ebbi a vivere nel 1971 con la promozione dei giallorossi in serie A. Solo per questa malattia ne è valsa la pena».
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