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L’editoriale
CHI CI CREDE? segue dalla prima di LUCIA SERINO a dirlo a tutti… noi, noi stessi lo diciamo…». Trenta minuti e sei a Bari. E se i baresi vogliono venire a Matera, si accomodino. Se poi c’è pure un architetto che ti fa vedere le cupole dello scultore giapponese sulla monnezza della discarica, gli orti urbani, i Sassi dell’acqua e del vento, pensi che il sogno, magari tra 50 anni, potrà pure avverarsi. Proprio come si è avverato il sogno di un vecchio gruppetto di folli visionari della Scaletta che a un certo punto si misero in testa di recuperare le pietre e le caverne di tufo della città. All’ora del tramezzino, un meridionale panino con pasticcino perché — dice il sindaco — il the non ci appartiene, va in onda il primo appello del “chi ci crede?”. O “chi vuole starci?”. Matera capitale 2019 è già iniziata, con lo spirito giusto della competizione, sbirciando quello che fanno le altre candidate, progettando, pensando, creando, facendo, discutendo, affidandosi a una specie di intelligenza collettiva, facendo le prove, come un abito dal sarto, più corto, più lungo, più stretto, più scollato, finchè non scivolerà alla perfezione nel giorno più bello. L’importante è avere un paniere con dentro delle tessere, come un mosaico, dice l’architetto Tonio Acito, «possiamo toglierne una, metterne un’altra, l’importante che il paniere non resti vuoto». E mostra vecchi giornali, con la cronache dei disastri urbani, edifici chiusi, la palestra abbandonata, il contenzioso con la regione. Cronaca dimenticata di disagi che abbiamo rimosso o che immagineremmo di abbattere. Ecco la brutta parola da cui stare lontani. Perché oggi è il tempo del riciclo, del riuso e della riduzione. Gli itinerari narranti naturali di Matera incrociano storia e modernità, riannodano i quartieri in una cintura che delimita gli spazi da riqualificare e gli innovatori da ospitare. «Perché di innovatori voglio parlare — dice Adduce — e non più di innovazione». Perchè Matera faccia tendenza, capitale della creatività e della cultura che produca reddito dall’immateriale ma non solo. Perché affascini più di quanto non faccia già adesso, e risolva — magari con l’ottimismo della consapevolezza — come dice Filippo Bubbico — le misere beghe di una politica cittadina che non riesce a guardare lo spazio immenso del suo orrizonte. Chi ci crede a Matera capitale della cultura? Noi sì, veramente. Per la parte che ci riguarda riteniamo che sia una grande sfida, vale la pena allenarsi e provare a confrontarsi con pensieri spontanei e slegati, purchè dentro quel mosaico. L’editore del Quotidiano anche ci crede ed è per questo, cari lettori, che sono orgogliosa di annunciarvi che, con questo spirito, rafforziamo la redazione di Matera. Una nuova assunzione di questi tempi è un grande sforzo. Ma l’ho chiesto insistentemente, e ho voluto un collega che Matera non l’avesse mai vista. Mi è andata bene, ne ero quasi certa. Amore a prima vista. Da lunedì arriva un supporto di qualità. Il collega si chiama Antonello Grassi, in fuga da una metropoli in decadenza, un grande curriculum professionale, una storia familiare di giornalisti che attraversa il Novecento e che ha saputo raccontare il Mezzogiorno facendo scuola, cogliendone sconnessioni infelici come le “cattedrali nel deserto”. La paternità dell’ espressione porta questo cognome. Al lavoro, dunque. Perché c’è molto da fare. Questo è il nostro omaggio per Matera capitale. E valga come buon auspicio. 
CHI CI CREDE? di LUCIA SERINO A un certo punto Adduce si alza e lo dice, finalmente: «Questa storia della ferrovia che non abbiamo, e continuiamo segue a pagina 28 La sfida di una comunità, il ruolo di un giornale: da lunedì si rafforza la redazione del Quotidiano 

 

A un certo punto Adduce si alza e lo dice, finalmente: «Questa storia della ferrovia che non abbiamo, e continuiamo a dirlo a tutti… noi, noi stessi lo diciamo…». Trenta minuti e sei a Bari. E se i baresi vogliono venire a Matera, si accomodino. Se poi c’è pure un architetto che ti fa vedere le cupole dello scultore giapponese sulla monnezza della discarica, gli orti urbani, i Sassi dell’acqua e del vento, pensi che il sogno, magari tra 50 anni, potrà pure avverarsi. Proprio come si è avverato il sogno di un vecchio gruppetto di folli visionari della Scaletta che a un certo punto si misero in testa di recuperare le pietre e le caverne di tufo della città. All’ora del tramezzino, un meridionale panino con pasticcino perché — dice il sindaco — il the non ci appartiene, va in onda il primo appello del “chi ci crede?”. O “chi vuole starci?”. Matera capitale 2019 è già iniziata, con lo spirito giusto della competizione, sbirciando quello che fanno le altre candidate, progettando, pensando, creando, facendo, discutendo, affidandosi a una specie di intelligenza collettiva, facendo le prove, come un abito dal sarto, più corto, più lungo, più stretto, più scollato, finchè non scivolerà alla perfezione nel giorno più bello. L’importante è avere un paniere con dentro delle tessere, come un mosaico, dice l’architetto Tonio Acito, «possiamo toglierne una, metterne un’altra, l’importante che il paniere non resti vuoto». E mostra vecchi giornali, con la cronache dei disastri urbani, edifici chiusi, la palestra abbandonata, il contenzioso con la regione. Cronaca dimenticata di disagi che abbiamo rimosso o che immagineremmo di abbattere. Ecco la brutta parola da cui stare lontani. Perché oggi è il tempo del riciclo, del riuso e della riduzione. Gli itinerari narranti naturali di Matera incrociano storia e modernità, riannodano i quartieri in una cintura che delimita gli spazi da riqualificare e gli innovatori da ospitare. «Perché di innovatori voglio parlare — dice Adduce — e non più di innovazione». Perchè Matera faccia tendenza, capitale della creatività e della cultura che produca reddito dall’immateriale ma non solo. Perché affascini più di quanto non faccia già adesso, e risolva — magari con l’ottimismo della consapevolezza — come dice Filippo Bubbico — le misere beghe di una politica cittadina che non riesce a guardare lo spazio immenso del suo orrizonte. Chi ci crede a Matera capitale della cultura? Noi sì, veramente. Per la parte che ci riguarda riteniamo che sia una grande sfida, vale la pena allenarsi e provare a confrontarsi con pensieri spontanei e slegati, purchè dentro quel mosaico. L’editore del Quotidiano anche ci crede ed è per questo, cari lettori, che sono orgogliosa di annunciarvi che, con questo spirito, rafforziamo la redazione di Matera. Una nuova assunzione di questi tempi è un grande sforzo. Ma l’ho chiesto insistentemente, e ho voluto un collega che Matera non l’avesse mai vista. Mi è andata bene, ne ero quasi certa. Amore a prima vista. Da lunedì arriva un supporto di qualità. Il collega si chiama Antonello Grassi, in fuga da una metropoli in decadenza, un grande curriculum professionale, una storia familiare di giornalisti che attraversa il Novecento e che ha saputo raccontare il Mezzogiorno facendo scuola, cogliendone sconnessioni infelici come le “cattedrali nel deserto”. La paternità dell’ espressione porta questo cognome. Al lavoro, dunque. Perché c’è molto da fare. Questo è il nostro omaggio per Matera capitale. E valga come buon auspicio. 

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