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Folino, un fantasma tra due scranni
di ANDREA DI CONSOLI
L’Italia – figuriamoci la Basilicata – è ormai diventata un paese strutturalmente avverso alla proprietà privata, all’impresa e alla libera iniziativa dell’individuo. Lo statalismo clientelare nel quale tutti i principali partiti credono – Pd e Pdl in primis – sta portando il nostro paese verso una irrimediabile crisi strutturale, perché non abbiamo 
segue a pagina 13

L’Italia – figuriamoci la Basilicata – è ormai diventata un paese strutturalmente avverso alla proprietà privata, all’impresa e alla libera iniziativa dell’individuo. Lo statalismo clientelare nel quale tutti i principali partiti credono – Pd e Pdl in primis – sta portando il nostro paese verso una irrimediabile crisi strutturale, perché non abbiamo né l’eguaglianza (chiamiamola pure così) che c’è nei paesi comunisti né il dinamismo e la libertà (fiscale, normativa, ecc.) che c’è nei paesi liberali. In Italia e in Basilicata (ma il fenomeno è marcatamente meridionale) non c’è lavoro per un motivo molto semplice: perché la gente è stata abituata a mendicare finto lavoro alla politica, e perché la politica (e, aggiungiamo, certi sindacati conservatori) – indebitando irresponsabilmente noi e le future generazioni – ha accettato la scellerata scorciatoia, la facile spirale clientelismo-consenso-debito. La storia, invece, insegna che la politica, se interviene nell’economia (con un troppo elevato debito pubblico e con la creazione di finto lavoro di massa) infine la distrugge. Vogliamo essere onesti fino in fondo: ai giovani lucani liberi e preparati e volenterosi di oggi non resta che emigrare all’estero, abbandonare senza indugi questa terra senza prospettive. Anche perché i politici lucani (chiamiamoli pure così) anziché esprimere tormento per questo loro fallimento epocale, insistono in politicismi e arrivistiche guerre di potere. E gli esempi, purtroppo, non mancano. Come tutti sanno, nei giorni scorsi abbiamo chiesto insistentemente a Vincenzo Folino di dimettersi da consigliere regionale (perché eletto alla Camera dei deputati). Se n’è infischiato altamente, con la tipica arroganza di chi confonde una carica democratica con un trono. E sapete perché se n’è infischiato altamente? Forse perché un consigliere regionale o c’è o non c’è è la stessa cosa, e poi perché in Lucania – siccome i lucani hanno terrore del potente di turno, delle sue ritorsioni: e ammettere questo terrore ci fa impazzire di struggimento e di rabbia – un politico che ha potere fa come gli pare, si sente un dio in terra. Allora noi proponiamo a questo debole consiglio regionale che non sente il dovere di rilevare la gravità di un consigliere perennemente assente perché eletto ad alta carica (ci riferiamo soprattutto alla felice e serena opposizione dei Pagliuca&C.) di gettare la maschera, cioè di ammettere la propria inutilità. Perché tanto o c’è o non c’è, un consigliere regionale, le tasse aumentano lo stesso, la disoccupazione cresce, Equitalia continua a mandare i suoi solleciti, tutto va in malora. Insomma, nessuno se ne accorge. Mentre l’economia lucana è nel disastro che tutti sappiamo, Folino continua a pensare impunemente ai propri giochetti di potere, alle solite strategie per rimanere a galla nel miglior modo possibile. E forse non ha torto a farlo, perché, ripetiamo, un consigliere regionale o c’è o non c’è è la stessa cosa. Ma c’è qualcosa di estremamente violento nell’atteggiamento della triade rossa bersaniana ormai saldamente al comando a Roma (finché, si capisce, Bersani non si schianterà per sempre contro il muro della sua arroganza finto-pragmatica) nel lasciar cuocere a fuoco lento il presidente De Filippo – affatto immune dai peggiori vizi della politica politicante – cucinato a fuoco lento e costretto a vivacchiare nel dubbio, nel sospetto, nell’incapacità di prendere una decisione piena ed entusiasmante per il suo nuovo governo regionale. Ma Speranza quando pensa alla Basilicata? Gliene frega qualcosa che un suo deputato è anche consigliere regionale (e che non spiega “democraticamente” perché mantiene entrambi gli incarichi) e del fatto che De Filippo è stato lasciato solo nella suburra di via Verrastro dove tutti vogliono (come cani affamati) un assessorato, dove tutti ricattano e dove la famosa asticella della buona politica e della morale di stato è solo uno strumento di sadica tortura corporale? L’unica cosa certa, in questo bailamme (mentre scriviamo sono le ore 18.23, e magari la nuova giunta verrà fatta in serata o in nottata), sembrerebbe la riconferma del foliniano Marotrano, ma è arrivato il momento di chiedersi apertamente se l’imprenditore ha la serenità finanziaria di svolgere anche un ruolo politico che richiede mente sgombra e indipendenza decisionale (soprattutto in un settore chiave come la sanità). Oppure basta essere uomo di Folino per avere tutti i lasciapassare per la navigazione? E dunque bastano 5.000 voti alle “parlamentarie” per essere il padrone della Basilicata? No, davvero: vale assai poco una terra dove bastano 5.000 voti per fare un padrone. Almeno, Colombo i voti li aveva, ed erano tanti. Questi, al contrario, comandano senza voti. Ma mai come adesso i lucani sono terrorizzati di dire la loro opinione, perché (e i marxisti lo sanno bene) senza libertà economica non c’è nemmeno libertà politica e culturale. E infatti loro fanno leva su questo, perché è più facile avere un elettore impaurito che uno persuaso. Le dimissioni a Vincenzo Folino, perciò, continuiamo a chiederle a testa alta, senza paura, con l’orgoglio di appartenere a una robusta – benché solitaria e marginale – tradizione che è abituata a non temere il potere, la sua tracotanza. Certo, immunizzato com’è dall’attuale corso bersaniano, Folino è ormai il padrone delle istituzioni lucane. Ma noi non ci arrendiamo a una politica avvelenata di potere, di poltrone e di spasmodici personalismi. E per questo gli chiediamo per l’ennesima volta di lasciare ad horas uno dei due scranni che occupa alla stessa maniera di un fantasma. 

 

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