9 minuti per la lettura
Se c’è voglia di partecipazioneDal basso
di SARA LORUSSO
E’ un tempo «di inquietudine e rivolgimenti, in cui la democrazia bussa e a volte abbatte le porte che prima la escludevano», dice il presidente del consiglio regionale Vincenzo Santochirico quando anticipa alcune novità dedicate alla partecipazione nel nuovo Statuto regionale. Due sono gli strumenti: «la democrazia come sistema e la politica come volontà». L’equilibrio funziona solo quando entrambi i canali di relazione con la società – democrazia e politica – «corrispondono, riflettono, interagiscono con i cittadini».
Da tempo, ormai, un blocco di società sempre più consapevole spinge per una maggiore partecipazione alle dinamiche di scelta politica, soprattutto a livello locale, dove i provvedimenti hanno conseguenze dirette e immediatamente percepite sul quotidiano. Di recente la classe dirigente ha cominciato a interrogarsi su come rispondere a questo bisogno diffuso. Non è più tempo di decisioni calate dall’alto. I risultati delle ultime elezioni politiche hanno insegnato anche questo. I cittadini hanno bisogno di essere ascoltati, ma soprattutto di riconoscersi in un progetto, in obiettivi che di volta in volta vengono messi loro davanti. Meglio, poi, poter concorrere a costruire quegli obiettivi, dicendo la propria.
Non è solo una questione di mezzo: il Movimento 5 Stelle ha raccolto consensi non grazie a Internet, ma perché ha saputo, almeno in campagna elettorale, toccare le corde del dissenso e trasformarle in un racconto di protagonismo civico.
E adesso? Le istituzioni si organizzano. Ci provano, almeno.
A viale Verrastro il cammino per l’approvazione del nuovo Statuto era nato già mesi fa, ma oggi può richiamare una profondità di dibattito diversa. Mancano ancora diverse tappe e ulteriori giri di consultazione.
Nel frattempo il titolo secondo della carta, al diritto di petizione e all’iniziativa legislativa popolare, abbina due diverse forme di referendum consultivo: uno promosso da una minoranza consiliare e l’altro da «specifiche categorie d’interesse». E’ quest’ultima la forma di consultazione popolare più interessante, se non altro per le connessioni e il controllo reciproco che sviluppa tra cittadinanza e istituzione.
Il referendum approvativo (utilizzato già in ordinamenti regionali speciali come la Valle d’Aosta) nasce con una sottoscrizione di un progetto di legge di iniziativa popolare da parte di un numero di elettori che varia tra 3.000 e 5.000. Più è alta la quota di sottoscrizioni, più è facile far entrare la proposta nell’elenco degli atti da valutare entro 90 giorni. Trascorso il termine senza che una legge recepisca il testo popolare o, quanto meno, i principi e i contenuti essenziali delle proposta di legge, si procede al referendum approvativo. Questa strada, hanno spiegato a viale Verrastro, è una via di coinvolgimento diretto della volontà popolare.
Esistono altre forme di partecipazione, spesso istituite da anni, ma poco utilizzate. A Potenza, per esempio, l’opposizione comunale proprio in questi giorni ha deciso di farvi ricorso. Con una motivazione tutta politica.
Per discutere del centro storico e chiedere la sospensione della zona a traffico limitato, la minoranza ha abdicato alla tradizionale richiesta di consiglio comunale aperto, utilizzata soprattutto per costringere la maggioranza a confrontarsi su un qualsiasi tema anche con le parti sociali, che in queste sedute speciali hanno diritto di parola. Invece, su un tema così importante per il capoluogo, i gruppi di opposizione hanno scelto lo strumento della petizione: servono 300 firme perchè un tema sia messo al centro del dibattito consiliare. Le hanno raccolte in pochi giorni. «Così facciamo uscire dall’angolo il centrosinistra», ha detto in conferenza stampa il consigliere del Pdl Michele Napoli. Spiegando che con la forza del consenso e del supporto dal basso, difficile che la maggioranza possa glissare sul tema.
Tra i palazzi e la burocrazia, queste sono solo alcune delle strade percorribili a livello istituzionale. Ne esistono altre, statutarie, normate o di consuetudine. Come per esempio la scelta fatta tempo fa dal consiglio comunale di Potenza di aprire al pubblico, sempre, tutte le commissioni consiliari. I cittadini non possono intervenire, ma possono assistere: e quelli sono gli organismi in cui ogni provvedimento comincia a prendere forma. Certo, non si tratta, in questo caso, di partecipazione attiva, ma resta un fronte di vigilanza.
E’ chiaro che non basta, la partecipazione è un percorso difficile. Le comunità vanno educate a modelli nuovi, le istituzioni devono accettare prima e poi imparare a usare quegli stessi modelli. Le forme tradizionali di accesso alle decisioni – che sono uno step diverso, ma complementare alla trasparenza – non possono, tra l’altro, non tenere in considerazione le mille possibilità di informazione, condivisione, ricerca che la tecnologia e la Rete mettono a disposizione.
Vanno bene nuovi percorsi di protagonismo della cittadinanza. Vanno bene le idee di accesso e condivisione, lo sforzo di apertura delle istituzioni alla partecipazione. Ma è con la messa in pratica che comincia la strada in salita, un viaggio che è tutto di educazione culturale. Da entrambe le parti.
s.lorusso@luedi.it
È un tempo «di inquietudine e rivolgimenti, in cui la democrazia bussa e a volte abbatte le porte che prima la escludevano», dice il presidente del consiglio regionale Vincenzo Santochirico quando anticipa alcune novità dedicate alla partecipazione nel nuovo Statuto regionale. Due sono gli strumenti: «la democrazia come sistema e la politica come volontà».
L’equilibrio funziona solo quando entrambi i canali di relazione con la società – democrazia e politica – «corrispondono, riflettono, interagiscono con i cittadini». Da tempo, ormai, un blocco di società sempre più consapevole spinge per una maggiore partecipazione alle dinamiche di scelta politica, soprattutto a livello locale, dove i provvedimenti hanno conseguenze dirette e immediatamente percepite sul quotidiano.
Di recente la classe dirigente ha cominciato a interrogarsi su come rispondere a questo bisogno diffuso. Non è più tempo di decisioni calate dall’alto. I risultati delle ultime elezioni politiche hanno insegnato anche questo. I cittadini hanno bisogno di essere ascoltati, ma soprattutto di riconoscersi in un progetto, in obiettivi che di volta in volta vengono messi loro davanti. Meglio, poi, poter concorrere a costruire quegli obiettivi, dicendo la propria. Non è solo una questione di mezzo: il Movimento 5 Stelle ha raccolto consensi non grazie a Internet, ma perché ha saputo, almeno in campagna elettorale, toccare le corde del dissenso e trasformarle in un racconto di protagonismo civico. E adesso? Le istituzioni si organizzano. Ci provano, almeno.
A viale Verrastro il cammino per l’approvazione del nuovo Statuto era nato già mesi fa, ma oggi può richiamare una profondità di dibattito diversa. Mancano ancora diverse tappe e ulteriori giri di consultazione.
Nel frattempo il titolo secondo della carta, al diritto di petizione e all’iniziativa legislativa popolare, abbina due diverse forme di referendum consultivo: uno promosso da una minoranza consiliare e l’altro da «specifiche categorie d’interesse». È quest’ultima la forma di consultazione popolare più interessante, se non altro per le connessioni e il controllo reciproco che sviluppa tra cittadinanza e istituzione. Il referendum approvativo (utilizzato già in ordinamenti regionali speciali come la Valle d’Aosta) nasce con una sottoscrizione di un progetto di legge di iniziativa popolare da parte di un numero di elettori che varia tra 3.000 e 5.000. Più è alta la quota di sottoscrizioni, più è facile far entrare la proposta nell’elenco degli atti da valutare entro 90 giorni. Trascorso il termine senza che una legge recepisca il testo popolare o, quanto meno, i principi e i contenuti essenziali delle proposta di legge, si procede al referendum approvativo. Questa strada, hanno spiegato a viale Verrastro, è una via di coinvolgimento diretto della volontà popolare.
Esistono altre forme di partecipazione, spesso istituite da anni, ma poco utilizzate. A Potenza, per esempio, l’opposizione comunale proprio in questi giorni ha deciso di farvi ricorso. Con una motivazione tutta politica. Per discutere del centro storico e chiedere la sospensione della zona a traffico limitato, la minoranza ha abdicato alla tradizionale richiesta di consiglio comunale aperto, utilizzata soprattutto per costringere la maggioranza a confrontarsi su un qualsiasi tema anche con le parti sociali, che in queste sedute speciali hanno diritto di parola. Invece, su un tema così importante per il capoluogo, i gruppi di opposizione hanno scelto lo strumento della petizione: servono 300 firme perchè un tema sia messo al centro del dibattito consiliare. Le hanno raccolte in pochi giorni.
«Così facciamo uscire dall’angolo il centrosinistra», ha detto in conferenza stampa il consigliere del Pdl Michele Napoli. Spiegando che con la forza del consenso e del supporto dal basso, difficile che la maggioranza possa glissare sul tema. Tra i palazzi e la burocrazia, queste sono solo alcune delle strade percorribili a livello istituzionale. Ne esistono altre, statutarie, normate o di consuetudine. Come per esempio la scelta fatta tempo fa dal consiglio comunale di Potenza di aprire al pubblico, sempre, tutte le commissioni consiliari. I cittadini non possono intervenire, ma possono assistere: e quelli sono gli organismi in cui ogni provvedimento comincia a prendere forma. Certo, non si tratta, in questo caso, di partecipazione attiva, ma resta un fronte di vigilanza.
È chiaro che non basta, la partecipazione è un percorso difficile. Le comunità vanno educate a modelli nuovi, le istituzioni devono accettare prima e poi imparare a usare quegli stessi modelli. Le forme tradizionali di accesso alle decisioni – che sono uno step diverso, ma complementare alla trasparenza – non possono, tra l’altro, non tenere in considerazione le mille possibilità di informazione, condivisione, ricerca che la tecnologia e la Rete mettono a disposizione.
Vanno bene nuovi percorsi di protagonismo della cittadinanza. Vanno bene le idee di accesso e condivisione, lo sforzo di apertura delle istituzioni alla partecipazione. Ma è con la messa in pratica che comincia la strada in salita, un viaggio che è tutto di educazione culturale. Da entrambe le parti.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA