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Da Cibò Folino a tarallucci e vino
E sullo scontro tra correnti: «Hanno pesato di piùle frizioni tra De Filippo e Margiotta. Ma ora sembra ci sia pace»
di MARIATERESA LABANCA
POTENZA – Se ci fosse un titolo potrebbe essere “quando gli dei scendono dall’Olimpo”. A patto di precisare che Vincenzo Folino (gli si creda o meno) non si sente affatto nella cerchia ristretta dei potenti lucani, «un eletto» sì, ma solo dal popolo.
E a patto di chiarire che, in questo caso, Olimpo sta per quella montagna su cui si è barricata la politica, talmente alta da non vedere più i suoi cittadini. Un po’ come quella che sabato scorso ha chiuso il suo conclave senza dire nulla di nuovo, con una fumata nera sul suo nuovo corso, necessario più che auspicato.
Lontano delle sacre riunioni di partito, nella piccola enoteca Cibò di Potenza, è andato in scena il primo confronto diretto con i cittadini: risultato del voto, Pd, Basilicata. Un dialogo informale a 360 gradi dove tutti sono stati protagonisti con le proprie domande. Con i tempi scanditi da un bicchiere di vino e qualche stuzzichino.
Non è il primo appuntamento promosso dai gestori del locale, che hanno ospitato anche il presidente De Filippo, il consigliere Napoli, il collega Navazio e il neo senatore Margiotta. Ma il confronto con uno dei maggiori protagonisti della vita lucana, a tre settimane dal risultato delle politiche e alla vigilia della sua partenza per Roma da neo deputato, ha reso l’occasione molto speciale.
L’ex presidente del Consiglio regionale, che ha fatto delle sue umili origini il proprio biglietto da visita, non ha tradito le attese di chi lo apprezza per la sua schiettezza e, qualche volta, il fare un po’ ruvido. Da dove partire se da non da lì?
Dal quel Partito regione che – Folino lo ha detto e lo ribadisce – è morto. Nel senso che non esiste più quel Pd che tutto governa e dalla leadership indiscussa. Ora il consenso dell’elettore bisogna andare a cercarlo. E chi non saprà farlo ne uscirà sconfitto. La questione non è che i democratici lucani hanno perso. «In fondo la Basilicata sta in Italia». E quel “vaffa” hanno voluto scriverlo sulle schede elettorali anche molti lucani. Sono i giovani e la classe media che non vede più soddisfatti certi piccoli bisogni, ma anche una buona dose di «magnaccioni», quelli che hanno voluto manifestare in questo modo il disagio. Per la precisione: «Che quello di Grillo fosse il primo partito a Potenza l’avevo previsto». Lontanissimo invece da qualunque pronostico la ripresa inaspettata di Berlusconi.
Folino non è di quelli che diplomaticamente dicono: “l’elettore ha sempre ragione”. «Vi rendete conto che Grillo ha detto “chiudete gli ombrelli” e lo loro li hanno chiusi. Io non l’avrei fatto nemmeno se me l’avesse chiesto Berlinguer». E in fondo l’esito lo dà quasi per scontato: «Vedremo tra qualche tempo cosa ne sarà». Certo è che «adesso anche i grillini dovranno mettersi a pedalare la nostra stessa bicicletta».
A loro comunque l’appello: «Responsabilità». Perché tanto a Roma sarà questo che farà la differenza. «Dialogherò con tutti, con M5S e con Pdl. Il confronto sarà sulle proposte, non sulle ideologie». E per tornare al Pd di casa nostra, Folino ripete: «Non è che abbiamo perso. Piuttosto che, per la prima volta, non abbiamo tenuto come gli anni passati».
Ma guai a pensare – come pure l’area dei moderati cattolici sta provando a dire – «che il pugno alzato di Speranza sui manifesti c’entri qualcosa». «A parte il fatto che il pugno quel povero “uaglione” se avesse potuto se lo sarebbe tagliato», aggiunge l’ex presidente che strappa ai presenti una grossa risata.
A dirla tutta, c’è pure un altro mito da sfatare: a chi pensa che certi squilibri interni al partito, negli ultimi anni, siano stati determinati dalla difficile dialettica tra ex Ds ed ex Margherita, «forse bisogna dire che molto più spesso si è trattato di frizioni tutte interne all’area cattolica». «Come quella che a volte si è consumata tra De Filippo e Margiotta. Frizione a quanto pare risolta, visto che il neo senatore sembra essersi affidato di buon grado all’ala protettiva del presidente».
Di Bersani cosa dire? Certo, «meglio uomo di governo che leader di partito». Di fronte a due “guru” di comunicazione come Berlusconi e Grillo, di certo Bersani non fa la figura del campione. Ma il segretario – Folino ne parla come quello zio di cui nutri stima e fiducia – è proprio come tutti gli emiliani, si rimboccano le maniche con grande serietà ma lontano dalle casse di risonanza. Ha lavorato molto, ma forse non è riuscito a restituire tutto quello che ha fatto. Ora si guarda avanti. C’è da recuperare il rapporto con i cittadini. E il presidente ormai sbarcato nella capitale, a dimenticare il rapporto con il territorio non ci pensa affatto. Ma a ritornare alle vecchie sezioni, non se ne parla nemmeno. «Sarebbe da folli».
Il presidente che si sente quasi un grillino ante litteram per aver avviato all’interno del suo partito un indiscutibile processo di rinnovamento in anni non sospetti, e aver preso in considerazione i temi della decrescita prima di M5S, tra il serio e il faceto lancia la sua proposta: un punto di rappresentanza parlamentare popolare.
Certo, a Montecitorio, sarà molto diverso rispetto al palazzo di via Verrastro. A partire da quel gioco di ruoli tra i due massimi rappresentanti istituzionali lucani a cui siamo stati abituati per anni e di cui avremo nostalgia. Ma a Folino mancherà De Filippo? «Il presidente sale a Roma anche tre volte alla settimana. Se lo vorrà io sono lì. Non mancheranno occasioni per incontraci».
m.labanca@luedi.it
POTENZA – Se ci fosse un titolo potrebbe essere “quando gli dei scendono dall’Olimpo”. A patto di precisare che Vincenzo Folino (gli si creda o meno) non si sente affatto nella cerchia ristretta dei potenti lucani, «un eletto» sì, ma solo dal popolo. E a patto di chiarire che, in questo caso, Olimpo sta per quella montagna su cui si è barricata la politica, talmente alta da non vedere più i suoi cittadini.
Un po’ come quella che sabato scorso ha chiuso il suo conclave senza dire nulla di nuovo, con una fumata nera sul suo nuovo corso, necessario più che auspicato. Lontano delle sacre riunioni di partito, nella piccola enoteca Cibò di Potenza, è andato in scena il primo confronto diretto con i cittadini: risultato del voto, Pd, Basilicata. Un dialogo informale a 360 gradi dove tutti sono stati protagonisti con le proprie domande.
Con i tempi scanditi da un bicchiere di vino e qualche stuzzichino. Non è il primo appuntamento promosso dai gestori del locale, che hanno ospitato anche il presidente De Filippo, il consigliere Napoli, il collega Navazio e il neo senatore Margiotta. Ma il confronto con uno dei maggiori protagonisti della vita lucana, a tre settimane dal risultato delle politiche e alla vigilia della sua partenza per Roma da neo deputato, ha reso l’occasione molto speciale.
L’ex presidente del Consiglio regionale, che ha fatto delle sue umili origini il proprio biglietto da visita, non ha tradito le attese di chi lo apprezza per la sua schiettezza e, qualche volta, il fare un po’ ruvido. Da dove partire se da non da lì? Dal quel Partito regione che – Folino lo ha detto e lo ribadisce – è morto. Nel senso che non esiste più quel Pd che tutto governa e dalla leadership indiscussa. Ora il consenso dell’elettore bisogna andare a cercarlo. E chi non saprà farlo ne uscirà sconfitto. La questione non è che i democratici lucani hanno perso. «In fondo la Basilicata sta in Italia». E quel “vaffa” hanno voluto scriverlo sulle schede elettorali anche molti lucani. Sono i giovani e la classe media che non vede più soddisfatti certi piccoli bisogni, ma anche una buona dose di «magnaccioni», quelli che hanno voluto manifestare in questo modo il disagio. Per la precisione: «Che quello di Grillo fosse il primo partito a Potenza l’avevo previsto».
Lontanissimo invece da qualunque pronostico la ripresa inaspettata di Berlusconi. Folino non è di quelli che diplomaticamente dicono: “l’elettore ha sempre ragione”. «Vi rendete conto che Grillo ha detto “chiudete gli ombrelli” e lo loro li hanno chiusi. Io non l’avrei fatto nemmeno se me l’avesse chiesto Berlinguer». E in fondo l’esito lo dà quasi per scontato: «Vedremo tra qualche tempo cosa ne sarà». Certo è che «adesso anche i grillini dovranno mettersi a pedalare la nostra stessa bicicletta». A loro comunque l’appello: «Responsabilità». Perché tanto a Roma sarà questo che farà la differenza. «Dialogherò con tutti, con M5S e con Pdl. Il confronto sarà sulle proposte, non sulle ideologie». E per tornare al Pd di casa nostra, Folino ripete: «Non è che abbiamo perso.
Piuttosto che, per la prima volta, non abbiamo tenuto come gli anni passati». Ma guai a pensare – come pure l’area dei moderati cattolici sta provando a dire – «che il pugno alzato di Speranza sui manifesti c’entri qualcosa». «A parte il fatto che il pugno quel povero “uaglione” se avesse potuto se lo sarebbe tagliato», aggiunge l’ex presidente che strappa ai presenti una grossa risata.
A dirla tutta, c’è pure un altro mito da sfatare: a chi pensa che certi squilibri interni al partito, negli ultimi anni, siano stati determinati dalla difficile dialettica tra ex Ds ed ex Margherita, «forse bisogna dire che molto più spesso si è trattato di frizioni tutte interne all’area cattolica». «Come quella che a volte si è consumata tra De Filippo e Margiotta. Frizione a quanto pare risolta, visto che il neo senatore sembra essersi affidato di buon grado all’ala protettiva del presidente».Di Bersani cosa dire? Certo, «meglio uomo di governo che leader di partito».
Di fronte a due “guru” di comunicazione come Berlusconi e Grillo, di certo Bersani non fa la figura del campione. Ma il segretario – Folino ne parla come quello zio di cui nutri stima e fiducia – è proprio come tutti gli emiliani, si rimboccano le maniche con grande serietà ma lontano dalle casse di risonanza. Ha lavorato molto, ma forse non è riuscito a restituire tutto quello che ha fatto. Ora si guarda avanti. C’è da recuperare il rapporto con i cittadini.
E il presidente ormai sbarcato nella capitale, a dimenticare il rapporto con il territorio non ci pensa affatto. Ma a ritornare alle vecchie sezioni, non se ne parla nemmeno. «Sarebbe da folli». Il presidente che si sente quasi un grillino ante litteram per aver avviato all’interno del suo partito un indiscutibile processo di rinnovamento in anni non sospetti, e aver preso in considerazione i temi della decrescita prima di M5S, tra il serio e il faceto lancia la sua proposta: un punto di rappresentanza parlamentare popolare. Certo, a Montecitorio, sarà molto diverso rispetto al palazzo di via Verrastro. A partire da quel gioco di ruoli tra i due massimi rappresentanti istituzionali lucani a cui siamo stati abituati per anni e di cui avremo nostalgia.
Ma a Folino mancherà De Filippo? «Il presidente sale a Roma anche tre volte alla settimana. Se lo vorrà io sono lì. Non mancheranno occasioni per incontraci»
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