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POTENZA – «Appare ovvio che la realizzazione di incrementi produttivi oltre i 104mila barili, eventualmente autorizzati in futuro dalla Regione, non sarebbero possibili con l’attuale configurazione impiantistica del Centro oli, ma richiederebbero significative modifiche dell’impianto esistente».
LA NOTA
E’ quanto sostiene la Regione Basilicata dopo la pubblicazione della seconda puntata dell’inchiesta del Quotidiano sui soci “a sei zampe” della moglie del direttore generale del dipartimento ambiente, e l’affare «ammodernamento» dello stabilimento Eni di Viggiano, un programma da 250 milioni di euro di investimenti per l’infrastruttura fondamentale del programma di estrazioni in Val d’Agri, approvato a maggio del 2011 proprio dal dipartimento ambiente.
LA PRESA DI DISTANZE
In una nota inviata in redazione ieri pomeriggio da via Verrastro prendono le distanze persino da quanto affermato dalla stessa compagnia. Eni infatti nel suo report 2012 sulle attività in Basilicata ha ammesso (forse con troppa leggerezza) di essersi portata avanti con i lavori in occasione di «ammodernamento» dell’impianto per raggiungere la capacità di trattamento dei 104mila barili al giorno già autorizzati, a partire dagli 83mila che vengono lavorati così com’è adesso. Le opere realizzate – stando sempre al report Eni 2012 – permetterebbero un ampliamento della produzione fino a 130mila barili al giorno, che è la soglia ancora oggetto di negoziazione tra la Regione e la compagnia, una volta stipulato un nuovo accordo e collegati almeno altri tre pozzi con l’impianto. Facile immaginare il risparmio di effettuare un singolo intervento invece di due, se si pensa che per quello realizzato a maggio del 2011 è occorso uno stop generale dell’attività di 23 giorni. Con i vecchi ritmi di produzione e il prezzo attuale di un barile di greggio fanno già 5milioni e 850mila euro di fatturato in meno ogni 24 ore. Ma è scontato che per avventurarsi in un investimento del genere, per quanto conveniente, all’Eni avranno avuto delle garanzie. Anche perché è da almeno due anni che da Roma, da San Donato Milanese e persino dai palazzi della giunta di via Verrastro si annunciano quei 26mila barili in più e tutti i benefici che porteranno per la Basilicata. Su questo però dalla Regione non fanno concessioni.
«LA SOGLIA E’ UGUALE»
«Circa l’ipotetica autorizzazione – spiega la nota diffusa ieri pomeriggio – a modifiche al Centro Oli Eni tali da consentire il trattamento di 26 mila barili in più, si precisa che tale circostanza non risponde al vero. Il Centro Olio ha, fin dal 2000, un limite autorizzato massimo giornaliero di 104.000 barili. Le autorizzazioni succedutesi negli anni, compreso quelle in vigore, hanno sempre confermato tale limite. L’avanzamento del programma di coltivazione ha portato all’incremento di produzione di gas acido associato ricco in zolfo. Da qui la necessità di una evoluzione tecnologica del Cova (Centro oli Val d’Agri, ndr), per adeguarlo, in maniera ambientalmente corretta, a trattare i maggiori quantitativi di gas acido, fermo restando il quantitativo massimo di olio estratto che è pari a 104mila barili al giorno».
L’ACCORDO
In altre parole si ribadisce il dato “nominale” dell’unico accordo vigente, quello del 1998, che consente a Eni di estrarre non più di 104mila barili al giorno. Poi si spiega perché fin’ora non è stato possibile raggiungere quella soglia, a causa della scoperta di una quantità di «gas acido associato» al greggio superiore alle aspettative. Di fatto in sede di via libera ambientale – viste le caratteristiche originali dell’impianto costruito – si è fissato per sicurezza il limite di 83mila barili al giorno.
LA SUPER LINEA
Un accenno è stato riservato anche al progetto approvato della nuova linea di trattamento del gas, e a un suo possibile sovradimensionamento rispetto ai 104mila barili autorizzati che assieme al potenziamento della quarta linea oli potrebbe permettere di arrivare a lavorare fino a 140mila barili, se si dovesse tener fermo il rapporto barile/metri cubi di «gas associato» del regime attuale. «Va inoltre precisato – prova a minimizzare la Regione – che il normale andamento di un giacimento, col procedere della produzione, fa registrare variazioni anche significative nella proporzione tra quantità di olio estratto e gas associato».
I PROGRAMMI DI SVILUPPO
Quello che conta è piuttosto smentire quanto affermato da Eni nel capitolo del suo report 2012 dedicato ai programmi di sviluppo in Val d’Agri. «Cosa diversa – spiega ancora la nota facendo riferimento ai lavori di «ammodernamento» autorizzati a maggio del 2011 e iniziati subito dopo – sono invece i programmi di sviluppo ipotizzati dall’Eni, riportati anche nel suo “Local Report 2012”, mai autorizzati dalla Regione. Appare ovvio che la realizzazione di incrementi produttivi oltre i 104.000 barili, eventualmente autorizzati in futuro dalla Regione, non sarebbero possibili con l’attuale configurazione impiantistica del Cova, ma richiederebbero significative modifiche dell’impianto esistente». Questa almeno la convinzione degli uffici di via Verrastro.
SOLO TUTELE
«L’autorizzazione all’ammodernamento del Cova, quindi, ha avuto come finalità principale quella di offrire il massimo delle garanzie in materia ambientale – conclude la nota della Regione – in tema di attività petrolifera nel limite delle soglie giornaliere autorizzate. In particolare, le autorizzazioni in vigore (Via ed Aia di cui alla delibera della giunta regionale numero 627 del 2011), hanno imposto ad Eni la realizzazione di reti di monitoraggio, in gestione ad Arpab, che coprono tutte le matrici ambientali quali acqua, aria, suolo e sottosuolo».
Checché ne dicano a San Donato Milanese, più o meno consapevoli delle implicazioni di certe affermazioni.
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