MARA ha trent’anni, un desiderio di politica diversa e abbastanza faccia tosta da cantarle senza sensi di colpa, e senza cercare ribalta.
Lo ha fatto sabato, alla direzione del Pd di Basilicata: non si è tenuta e nell’analisi del voto ci ha messo alcune di quelle verità che un po’ troppi sussurravano. Per raccontare l’amarezza si è attrezzata di una metafora efficace: «È che noi siamo contenti sempre in questo partito quando arrivano i ragazzi, facciamo loro le feste, diciamo: prego. Poi però, come prima cosa, mettiamo loro sulle spalle uno zainetto con dieci quintali di tradizione».
Lo sa bene, ché un po’ ci è passata in prima persona, come tanti altri. Nel Pd una come Mara Salvatore aveva trovato la casa ideale: senz amai tessere prima, di cultura cattolica per provenienza, a sinistra per convinzione, anima riformista. «Solo che poi – racconta – ci siamo impelagati nei congressi, nelle scelte col bilancino, nelle questioni territoriali. La storia della fusione pesava su tutto». Qualche giorno dopo la direzione Mara non ha cambiato idea. E un po’ ci spera che il Pd possa cambiare, da dentro. «Vediamo che succede, con che legge elettorale, con quali dinamiche».
Nel frattempo resta l’analisi. E non è poco. Presidente dell’assemblea regionale dei giovani democratici, Mara ha affrontato più volte le primarie, le ultime a sostegno di Roberto Speranza segretario. «È uno strumento utile, in cui credo, è chiaro. Ma mi ha deluso nel modo in cui viene utilizzato». Senza andare troppo per il sottile, lo scenario è quello a cui non solo il Pd ha abituato. «La primarie finiscono per diventare una vera e propria competizione elettorale dove si inserisce la sfida tra chi ha propri bacini di voti. Vince chi conduce quel gioco, anche in un contesto come quello delle primarie, i politici non lasciano molta libertà».
Lei, invece, la libertà di dire certe cose se l’è presa. «Sì, qualcuno mi ha contattato dopo l’intervento in direzione, qualcuno si è fatto vivo per complimentarsi, ma bastonate no, non ne ho prese. Probabilmente – sorride – in molti lo hanno anche visto come l’intervento ingenuo, quello di cui, a differenza delle parole dei big, non bisogna aver timore».
Invece a stare attenti, il suo discorso suonava come uno scossone. Replicando il caso Serracchiani? «Per carità, spero proprio di no – dice – L’abbiamo visto che i serracchainesimi sono spot estemporaneo. Invece serve dire le cose come stanno per cambiare il sistema radicalmente. In assemblea, usando un termine un po’ grillino, mi sono solo fatta portavoce di un certo sentire. Non basta inserire in lista o negli organismi qualche faccia nuova sperando basti a fare un refresh del partito». Invece «serve lasciare una possibilità di inserimento reale, servono molti passi indietro».
Anche a Speranza ha detto qualcosa di chiaro: «Gli ho solo suggerito di recuperare il voto di opinione che l’ha fatto segretario del Pd, quando ha raccolto anche il sostegno dei simpatizzanti, della società civile. Fu un voto molto diverso da quello a cui invece il Pd bada con troppa attenzione, che è il voto consolidato, delle relazioni corte». Nel partito finché ci sarà qualcosa da dire, «non ho ambizioni». Per questo si può permettere di dire che il Pd ha completamente sbagliato il messaggio in campagna elettorale. «Va bene il richiamo al sacrificio, alla voglia di essere realisti, ma non dovevamo occultare la speranza, alla gente una via d’uscita va data».
Meglio se aggiungendo chiarezza: «La diatriba sui temi etici ormai è un classico. Ma se aggiungiamo anche prospettive opposte su temi come quelli economici, la speranza di raccontarsi alla gente la perdiamo