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PETILIA POLICASTRO (Crotone) – Il copione si ripete. I familiari del collaboratore di giustizia si dissociano dall”infame”. Le distanze vanno prese anche se il pentito si chiama Carmine Venturino e ha fatto ritrovare i resti carbonizzati del corpo di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sparita nel nulla nel novembre 2009, uccisa e sepolta in un campo vicino a Monza. Per quell’omicidio, nel marzo scorso, la Corte d’Assise di Milano ha condannato all’ergastolo sei persone, tra cui Venturino, peraltro ex fidanzato di Denise Cosco, la figlia di Lea, tradita due volte e costituitasi parte civile contro il giovane e contro il padre, Carlo Cosco, considerato il mandante del delitto perché voleva costringere la vittima a rivelarle cosa avesse dichiarato agli inquirenti su un omicidio commesso nel ’95, quello di Antonio Comberiati. La dissociazione arriva, però, non dopo il coinvolgimento nell’inchiesta che portò a sei arresti, tra i quali quello di Venturino, nell’ottobre 2010, ma dopo il pentimento. In un documento sottoscritto da quattro firme autografe e giunto ieri in redazione, infatti, «si tiene a precisare che tutta la famiglia di origine dell’imputato (genitori, zii e cugini), nel disconoscere l’operato delittuoso dello stesso, prende le distanze da ogni eventuale dichiarazione che coinvolga l’onesto nome di tutta la parentela». A firmare sono il padre del pentito, Giuseppe, e gli zii Marcello, Vito e Mario ma parlano a nome di tutta la famiglia. E ancora: «esprimendo ferma condanna davanti alle ammissioni di colpa del nostro congiunto, si evidenzia che la famiglia Venturino è nota alla comunità locale per la sua integrità morale e il rispetto dei valori fondanti della società civile». Per questo la gente della frazione Pagliarelle, dove i Cosco vivono, e dove si svolsero i funerali senza bara di Lea, deve sapere.

IL SERVIZIO COMPLETO, A FIRMA DI ANTONIO ANSTASI, SULL’EDIZIONE CARTACEA DI OGGI DEL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA
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