3 minuti per la lettura
MONTAURO (CZ) – A due giorni dal delitto a colpi di kalashnikov che ha scosso Vallefiorita, con l’omicidio di Giuseppe Bruno e della moglie Caterina, si torna a uccidere nel Catanzarese, a poco più di dieci chilometri di distanza. A Montauro si è registata una vittima in seguito ad un agguato avvenuto in tarda serata. A cadere sotto i colpi di arma da fuoco Francesco Chiodo, 44 anni. L’uomo è stato ucciso a colpi di fucile mentre si trovava all’ingresso della sua cava. In passato era stato coinvolto nell’operazione Show down contro le cosche del Soveratese. Si era costituito ai carabinieri della Compagnia di Soverato il 16 dicembre del 2011, il giorno dopo l’emissione di un provvedimento di fermo nei suoi confronti. Successivamente era stato scarcerato ma sarebbe dovuto comparire in aula il 13 marzo dopo il rinvio a giudizio stabilito dal giudice.
L’operazione fu chiamata “Show down” che significa “resa dei conti” proprio perchè viene ritenuta una resa dei conti tra gli inquirenti e la criminalità del basso Jonio Catanzarese. Tutto iniziò dalla scomparsa di Giuseppe Todaro per un caso di lupara bianca, avvenuta il 22 dicembre 2009. Due le tranche attraverso le quali gli investigatori portarono a termine l’inchiesta che ha ricostruito i contrasti interni sorti tra gli schieramenti una volta uniti dei Sia e dei Todaro, sostenuti rispettivamente dalla cosche Vallelunga e Novella da un lato e Gallace dall’altro. Una frattura che ha portato a una vera e propria guerra di mafia con decine di omicidi commessi tra il 2009 e il 2011. Le accuse complessivamente contestate alle persone coinvolte, a vario titolo, vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, al sequestro di persona, estorsione, rapina, ricettazione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, omicidio e occultamento di cadavere.
Chiodo, però, non potrà rispondere alle imputazioni che gli erano state contestate.
Secondo gli inquirenti avrebbe avuto legami molto stretti con la cosca Sia-Procopio–Tripodi di Soverato. L’uomo, nativo di Simeri Crichi ma domiciliato a Gasperina, era stato un avvisato orale di pubblica sicurezza, quindi arrestato perchè ritenuto dagli inquirenti legato a doppio filo con il clan. In particolare, secondo quanto emerse dall’operazione che lo portò in carcere, sin dal 2007, Chiodo avrebbe avuto rapporti di lavoro con Maurizio Tripodi, esponente dell’omonima cosca, e con Vittorio Sia, ritenuto il capo clan. Si sarebbe trattato di legami relativi alle forniture edili per lavori nei territori di Montauro, Montepaone e Soverato. Non un normale contatto lavorativo, secondo le indagini che fecero scattare l’arresto e dalle quali Chiodo avrebbe dovuto difendersi in processo, ma un «rapporto di subordinazione di Chiodo – scrivevano gli inquirenti nel provvedimento di arresto – anche in relazione all’esecuzione di attività lavorative nel campo del movimento terra ed edile in generale». In questo quadro, dunque, al momento, i carabinieri sembrano privilegiare un regolamento di conti all’interno del clan, decimato da morti ammazzati e arresti, oppure nell’ambito del settore lavorativo dell’uomo, considerato che proprio nel movimento terra si inseriscono spesso gli affari delle cosche. Difficile pensare, secondo gli investigatori, ad un collegamento con il duplice omicidio di marito e moglie, Giuseppe Bruno e Caterina Raimondi, avvenuto a Vallefiorita due giorni prima. Si tratta, infatti, di due realtà che si intrecciano, ma sostanzialmente diverse e che al momento non mostrerebbero un collegamento tra i due episodi. Al vaglio dei carabinieri del Reparto operativo provinciale e della Compagnia di Soverato, resta invece un altro aspetto: l’arresto del latitante Davide Sestito, avvenuto in Germania pochi giorni prima dell’omicidio di Chiodo. Entrambi erano stati raggiunti dall’operazione «Show down» e considerati affiliati allo stesso clan. Per questo non si escludono completamente possibili legami, visto che i fatti si sono consumati a pochi giorni di distanza.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA