Caso Claps: per il vicepresidente di Libera accuse di diffamazione al pm Genovese e al marito Cannizzaro
Rinviato a giudizio Don Cozzi
Al centro il discorso alla Trinità nel primo anniversario dopo la scoperta del corpo
di LEO AMATO
POTENZA – E’ apparso subito chiaro che era stato un discorso infuocato. Anche tra i presenti si erano scaldati gli animi divisi tra contestatori e sostenitori del vescovo Agostino Suberbo sulle accuse alla curia di aver tenuto nascosto la verità. Ora però per quelle stesse parole si aprirà un formale dibattimento. Poi sarà il Tribunale a stabilire se il limite del diritto di critica è stato davvero superato.
E’ stato rinviato a giudizio con l’accusa di diffamazione a mezzo stampa il vicepresidente nazionale di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Don Marcello Cozzi. Lo ha stabilito ieri mattina al termine di una breve camera di consiglio il gip di Potenza Luigi Spina che ha respinto le eccezioni avanzate dall’avvocato Enza Rando, dell’ufficio legale della più nota associazione antimafia.
Alla base dell’imputazione nei confronti del sacerdote, animatore in Basilicata anche del centro studi Cestrim e della fondazione antiusura “Interesse uomo”, che tuttora gestisce diversi centri d’ascolto sparsi per tutta la provincia di Potenza, ci sono le parole pronunciate il 12 settembre del 2010 dai gradini dell’ingresso laterale della chiesa della santissima Trinità, nel primo anniversario della “scomparsa” di Elisa Claps dopo il rinvenimento dei suoi resti pochi metri più in alto, nell’angolo più buio del sottotetto del tempio, avvenuto appena sei mesi prima.
A proporre querela sono stati l’ex pm Felicia Genovese, che nel 1993 aveva condotto le prime indagini sul caso della studentessa che quella calda domenica di settembre non sarebbe più tornata a casa, assieme a suo marito Michele Cannizzaro, medico, imprenditore, ex direttore generale del San Carlo, oggi è in piena campagna elettorale per un posto in Senato. Entrambi hanno denunciato di sentirsi offesi nella loro dignità da quanto affermato davanti a centinaia di persone accorse in via Pretoria per abbracciare i familiari della ragazza – in particolare la madre Filomena e i fratelli Gildo e Luciano Claps -, e tuttora scolpito in una lunga nota pubblicata tra i comunicati nel sito internet del Cestrim.
Ieri mattina il legale di Genovese e Cannizzaro, l’avvocato salernitano Francesco Saverio Dambrosio non era in aula, ma il gup è andato avanti lo stesso e alla prima udienza del dibattimento – che dovrebbe cominciare nelle prossime settimane – potrebbe ancora costituirsi come parte civile. Altrimenti il processo andrà avanti per appurare esclusivamente il rilievo penale di quelle affermazioni.
«Chiedere verità e giustizia – così parlava Don Cozzi dalla Trinità e ancora oggi si può leggere on line – significa non fermarci solo su Danilo in una sorta di rito espiatorio destinato a placare una collettiva sete di giustizia (…), ma significa chiedersi ancora una volta perché quella casa non fu perquisita, perché quegli abiti non furono sequestrati». Danilo Restivo è l’ex ragazzo di Erice che qualche mese più tardi sarebbe stato condannato prima per l’omicidio della sua vicina di casa inglese Heather Barnett nel 2002, e poi per quello di Elisa Claps. Quanto invece al magistrato che aveva condotto le indagini il riferimento viene esplicitato subito dopo. «Chiedere verità e giustizia – proseguiva infatti il discorso del sacerdote – significa chiedere al Csm se non sia il caso che una volta per tutte si accerti la legittimità dell’operato della dottoressa Genovese». Quindi sempre al Csm e al presidente della Repubblica Napolitano rivolgeva un appello perché considerassero i «contatti telefonici» intercorsi «non poche volte negli ultimi anni» tra il marito e alcuni uomini della ‘ndrangheta. Per gli inquirenti della procura di Salerno che molto tempo prima li avevano già analizzati, cercando inutilmente riscontri alle accuse – poi smentite – di un ex pentito, quei contatti in realtà molto sporadici con personaggi dubbi o poco più non avrebbero significato un granché. Ma per Don Cozzi avrebbero configurato una questione «anche solo» di opportunità per cui la moglie di Cannizzaro, originario della provincia di Reggio Calabria, non avrebbe dovuto continuare a fare il magistrato. Quindi la replica dei diretti interessati non si sarebbe fatta attendere.
«Non è la prima volta e temo che non sarà l’ultima». Spiegava Cannizzaro, già coinvolto e prosciolto assieme alla moglie sempre sulla base delle stesse illazioni dal calderone dell’inchiesta “Toghe lucane” dell’ex pm De Magistris, in una nota pubblicata a distanza di 24 ore del discorso per l’anniversario di Elisa. «Per fare accertare la falsità delle affermazioni del prete Marcello Cozzi, a suo tempo ho già promosso nei suoi confronti un giudizio civile e formulato una querela penale. Non avendo intrattenuto conversazioni telefoniche con uomini della “n’drangheta” sono oggi costretto a coltivare un’ulteriore iniziativa giudiziaria per ottenere anch’io “verità e giustizia”». E il dibattimento tra il sacerdote e il candidato senatore già si annuncia senza esclusione di colpi.
POTENZA – E’ apparso subito chiaro che era stato un discorso infuocato. Anche tra i presenti si erano scaldati gli animi divisi tra contestatori e sostenitori del vescovo Agostino Suberbo sulle accuse alla curia di aver tenuto nascosto la verità. Ora però per quelle stesse parole si aprirà un formale dibattimento. Poi sarà il Tribunale a stabilire se il limite del diritto di critica è stato davvero superato. E’ stato rinviato a giudizio con l’accusa di diffamazione a mezzo stampa il vicepresidente nazionale di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie, Don Marcello Cozzi. Lo ha stabilito ieri mattina al termine di una breve camera di consiglio il gip di Potenza Luigi Spina che ha respinto le eccezioni avanzate dall’avvocato Enza Rando, dell’ufficio legale della più nota associazione antimafia. Alla base dell’imputazione nei confronti del sacerdote, animatore in Basilicata anche del centro studi Cestrim e della fondazione antiusura “Interesse uomo”, che tuttora gestisce diversi centri d’ascolto sparsi per tutta la provincia di Potenza, ci sono le parole pronunciate il 12 settembre del 2010 dai gradini dell’ingresso laterale della chiesa della santissima Trinità, nel primo anniversario della “scomparsa” di Elisa Claps dopo il rinvenimento dei suoi resti pochi metri più in alto, nell’angolo più buio del sottotetto del tempio, avvenuto appena sei mesi prima. A proporre querela sono stati l’ex pm Felicia Genovese, che nel 1993 aveva condotto le prime indagini sul caso della studentessa che quella calda domenica di settembre non sarebbe più tornata a casa, assieme a suo marito Michele Cannizzaro, medico, imprenditore, ex direttore generale del San Carlo, oggi è in piena campagna elettorale per un posto in Senato. Entrambi hanno denunciato di sentirsi offesi nella loro dignità da quanto affermato davanti a centinaia di persone accorse in via Pretoria per abbracciare i familiari della ragazza – in particolare la madre Filomena e i fratelli Gildo e Luciano Claps -, e tuttora scolpito in una lunga nota pubblicata tra i comunicati nel sito internet del Cestrim. Ieri mattina il legale di Genovese e Cannizzaro, l’avvocato salernitano Francesco Saverio Dambrosio non era in aula, ma il gup è andato avanti lo stesso e alla prima udienza del dibattimento – che è già stata fissata per il prossimo 27 novembre – potrebbe ancora costituirsi come parte civile. Altrimenti il processo andrà avanti per appurare esclusivamente il rilievo penale di quelle affermazioni. «Chiedere verità e giustizia – così parlava Don Cozzi dalla Trinità e ancora oggi si può leggere on line – significa non fermarci solo su Danilo in una sorta di rito espiatorio destinato a placare una collettiva sete di giustizia (…), ma significa chiedersi ancora una volta perché quella casa non fu perquisita, perché quegli abiti non furono sequestrati». Danilo Restivo è l’ex ragazzo di Erice che qualche mese più tardi sarebbe stato condannato prima per l’omicidio della sua vicina di casa inglese Heather Barnett nel 2002, e poi per quello di Elisa Claps. Quanto invece al magistrato che aveva condotto le indagini il riferimento viene esplicitato subito dopo. «Chiedere verità e giustizia – proseguiva infatti il discorso del sacerdote – significa chiedere al Csm se non sia il caso che una volta per tutte si accerti la legittimità dell’operato della dottoressa Genovese». Quindi sempre al Csm e al presidente della Repubblica Napolitano rivolgeva un appello perché considerassero i «contatti telefonici» intercorsi «non poche volte negli ultimi anni» tra il marito e alcuni uomini della ‘ndrangheta. Per gli inquirenti della procura di Salerno che molto tempo prima li avevano già analizzati, cercando inutilmente riscontri alle accuse – poi smentite – di un ex pentito, quei contatti in realtà molto sporadici con personaggi dubbi o poco più non avrebbero significato un granché. Ma per Don Cozzi avrebbero configurato una questione «anche solo» di opportunità per cui la moglie di Cannizzaro, originario della provincia di Reggio Calabria, non avrebbe dovuto continuare a fare il magistrato. Quindi la replica dei diretti interessati non si sarebbe fatta attendere. «Non è la prima volta e temo che non sarà l’ultima». Spiegava Cannizzaro, già coinvolto e prosciolto assieme alla moglie sempre sulla base delle stesse illazioni dal calderone dell’inchiesta “Toghe lucane” dell’ex pm De Magistris, in una nota pubblicata a distanza di 24 ore del discorso per l’anniversario di Elisa. «Per fare accertare la falsità delle affermazioni del prete Marcello Cozzi, a suo tempo ho già promosso nei suoi confronti un giudizio civile e formulato una querela penale. Non avendo intrattenuto conversazioni telefoniche con uomini della “n’drangheta” sono oggi costretto a coltivare un’ulteriore iniziativa giudiziaria per ottenere anch’io “verità e giustizia”». E il dibattimento tra il sacerdote e il candidato senatore già si annuncia senza esclusione di colpi.